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sabato 26 ottobre 2013

A Roma la vergognosa "casa della pace" per i sopravvissuti della "guerra di Lampedusa"



Viaggio nel palazzo di Roma dove vivono oltre mille rifugiati. Nel degrado, senza diritti e dimenticati dallo Stato

Lo scantinato umido, con le pareti scrostate e la puzza di urina, ospita cento persone. Stipate una accanto all’altra. I materassi stesi a terra, impregnati dell’acqua che gocciola dalle tubature. Tra tutti gli stanzoni trasformati in dormitori all’interno del palazzo Salaam, il sotterraneo è il più invivibile. Un tempo questa struttura a nove piani di vetro e cemento era la sede della seconda università romana di Tor Vergata. Dal 2006 è la casa della pace. Dove convivono, però, i sopravvissuti di una guerra. Quella di Lampedusa: 1.250 persone, tra rifugiati politici e richiedenti asilo. Sono eritrei, somali, etiopi e sudanesi. Tra di loro una cinquantina di bambini.
«Ci sentiamo dei sopravvissuti», racconta a “l’Espresso” Tolndne, cinquantenne eritreo da sei anni intrappolato nella periferia della capitale. Le immagini degli oltre 200 morti di Lampedusa hanno sconvolto gli abitanti del palazzo. «Li abbiamo ricordati con una fiaccolata. Potevamo essere noi le vittime». In tanti qui aspettano notizie dall’isola. L’unica mediatrice culturale, fino a qualche mese fa inquilina del Salaam, teme per suo cognato. Piange perché di lui ha perso ogni traccia, potrebbe essere una vittima del naufragio. I sopravvissuti del palazzo dei rifugiati aspettano con ansia notizie, particolari. Un dramma che si aggiunge alla disperazione quotidiana del vivere senza diritti in una città straniera.
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«Dopo ogni sbarco aumentano i nuovi inquilini», spiega Bahar. «L’emergenza è sotto gli occhi di tutti, ma nessuno muove un dito», denuncia D’Angelo: «Pochi i parlamentari che hanno varcato i cancelli del palazzo Salaam e solo due volte in otto anni. E prima di Ignazio Marino nessun sindaco di Roma era mai entrato». I sette piani dell’edificio ormai straripano di inquilini. E i servizi igienici non sono sufficienti. «L’80 per cento dei bagni e delle docce non funzionano nemmeno». Mancano i servizi sanitari minimi: dal centro dermatologico a un centro psichiatrico per le vittime delle torture. Un purgatorio che somiglia sempre più a un inferno dal quale i sopravvissuti alle traversate desiderano fuggire. In salvo dai naufragi, qui muoiono di una morte lenta.