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sabato 31 agosto 2013

"Un cuore che ascolta - lev shomea' " - n. 36 di Santino Coppolino

Rubrica
'Un cuore che ascolta - lev shomea'

"Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)

Traccia di riflessione sul Vangelo della Domenica 

di Santino Coppolino



VangeloLc 14,1.7-14







Non darti arie davanti al re e non metterti al posto dei grandi, perché è meglio sentirsi dire: «Sali quassù», piuttosto che essere umiliato davanti a uno più importante." (Pr 25,6-7)

Gesù fa riferimento al libro dei Proverbi nel narrare la parabola, riprendendo quei commensali che facevano a gara per avere i primi posti al banchetto dove anche lui è invitato.
Egli cita quasi alla lettera il passo tratto dai Ketubim (gli scritti Sapienziali) proprio per sottolineare che la Parola stessa ci invita ad aprire gli occhi sulla strada da intraprendere per la costruzione del Regno.
Il centro della storia, della vita, non possiamo essere noi, il nostro io, al centro deve stare l'altro perché così è nel cuore di Dio.
Scegliere sempre il bene dell'altro e non per falsa modestia, ma per amore.
Gesù inverte la scala dei valori di questo mondo, dove tutto viene fatto per interesse personale, e ci invita a scegliere la sua via che è dono e gratuità. 
I nostri rapporti sono animati dall'egoismo personale, familiare, di classe mentre egli ci esorta ad uscire da noi stessi capovolgendo il nostro modo di pensare (la metànoia), per accogliere la sua visione del mondo e della storia che è il sogno del Padre. Quella visione che Gli fa mettere al centro della sua predicazione, al centro di tutta la sua vita, la vita dell'altro e "dell'altro asimmetrico", come direbbe Levinas, l'altro che non ci può ricambiare perché "povero,storpio,zoppo e cieco".



Siria - testimonianza delle suore trappiste


Siria - testimonianza delle suore trappiste

"...La gente qui è davanti alla televisione, con gli occhi e le orecchie tesi: «Si attende solo una parola di Obama»!!!! Una parola di Obama?? Il premio Nobel per la pace, farà cadere su di noi la sua sentenza di guerra? Aldilà di ogni giustizia, di ogni buon senso, di ogni misericordia, di ogni umiltà, di ogni saggezza?
...
Domani, dunque (o domenica ? bontà loro…) altro sangue.
Noi, come cristiani, possiamo almeno offrirlo alla misericordia di Dio, unirlo al sangue di Cristo che in tutti coloro che soffrono porta a compimento la redenzione del mondo. Cercano di uccidere la speranza, ma noi a questo dobbiamo resistere con tutte le nostre forze.
A chi ha un vero amore per la Siria (per l’uomo, per la verità…) chiediamo tanta preghiera… tanta, accorata, coraggiosa…
le sorelle trappiste



Papa Francesco: il cardinale Martini è stato un Padre della Chiesa


Papa Francesco: il cardinale Martini è stato 
un Padre della Chiesa


«La memoria dei padri è un atto di giustizia. E Martini è stato un padre per tutta la Chiesa. Anche “noi alla fine del mondo” facevamo gli esercizi con i suoi testi». 
Con queste parole Papa Francesco si è rivolto a padre Carlo Casalone, provinciale d'Italia della Compagnia di Gesù, e a un gruppo di gesuiti e animatori della Fondazione Carlo Maria Martini. L'incontro è avvenuto ieri, 30 agosto 2013, presso la “Domus Sanctae Marthae” alla vigilia del primo anniversario della morte del cardinale Martini, arcivescovo emerito di Milano. 
La Fondazione, nata a Torino, ha come scopo la promozione del pensiero e delle riflessioni religiose del porporato, in particolare tra i giovani candidati al sacerdozio.


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Vedi anche il nostro post precedente:
la pagina speciale di TEMPO PERSO


Martini un anno dopo...



Non so se il sogno del cardinale Martini si sia avverato. Di certo, se fosse vivo oggi non gli dispiacerebbe la nuova Chiesa di papa Francesco, un gesuita come lui ed entrambi candidati nel Conclave del 2005 per la successione a Giovanni Paolo II...
Leggi tutto: IL SOGNO DI MARTINI E LA CHIESA DI PAPA FRANCESCO di Antonio Sciortino

Quale eredità possiamo raccogliere dal cardinale Carlo Maria Martini a un anno dalla sua morte? Proverò a rispondere a questa domanda rifacendomi a un’idea a lui molto cara, centrale nella spiritualità e nella lingua di sant’Ignazio di Loyola: l’idea della riverenza...
Martini ha vissuto questa riverenza anzitutto nei confronti di Dio: sta qui la radice ignaziana della sua spiritualità e della sua proposta circa il primato della «dimensione contemplativa della vita ». Tutto nasce dal fare l’esperienza dell’ineffabile vicinanza divina. Non si tratta certo di una semplice emozione, quanto piuttosto di educarsi a percepire le mozioni interiori con cui lo Spirito guida i credenti, grazie a un costante impegno di unione con Dio.
Chi ha conosciuto il cardinale Martini sa quanto intensa e profonda fosse in lui questa riverenza, al tempo stesso docile e inquieta, luminosa e oscura...
Leggi tutto: L'UOMO CHE ANTICIPÒ LA CHIESA RINNOVATA di Bruno Forte

In questo periodo, a causa dell'anniversario della sua morte, si scrive molto su Carlo Maria Martini. Eppure è stato un uomo riservato (tanto da sembrare ad alcuni distaccato)...
Martini era umile. Umile, perché non intendeva dominare, anche quando governava una grandissima diocesi.
Umile, non distaccato, ma anzi molto interessato ad ascoltare gli altri, curioso com'è rimasto fino alla fine di incontrare e di imparare. Per questo ha amato anche viaggiare finché ha potuto. E fino alla morte, nonostante la fatica a comunicare, ha sempre ricevuto visite. Così ricordo come le ultime conversazioni con lui fossero tutt'altro che formali, anzi lo si vedeva appassionarsi, spesso preoccupato per il futuro della Chiesa. Gli portai un libro di storia, dove avevo scritto qualche pagina su di lui: «Giusto, ma troppo gentile. Devi essere più critico!». C'è oggi da cogliere – a mio avviso – il suo segreto: la sua umiltà, nutrita dell'ascolto della parola di Dio, che lo rendeva appassionato alla vicenda umana, piccola e grande che fosse.

Vedi anche la pagina speciale di TEMPO PERSO:

venerdì 30 agosto 2013

Le telefonate di Papa Francesco... Una carezza per telefono La creatività dell'amore

Pronto sono Bergoglio. Il Papa. 
Chi? Il Papa? Impossibile! Ed invece sì! 
Può un Papa ridurre la sua missione ad un fatto normale? Una telefonata? Per abbracciare una signora violentata: non sei sola. Ma non ha da pensare al mondo intero? Non vi è un incendio in Siria? E quanta povertà non abita la nostra terra? Papa Bergoglio prende il cellulare in mano. Digita un numero. Chiama persone sconosciute. Lui, il sommo Pontefice, collocato per missione sulla vetta del mondo! È che da lontano, come succede ai governanti di questo mondo, non si vedono le persone. Si pensa al popolo. Si cerca il consenso delle masse. Si accarezzano nei loro desideri. Lo scopo non sono le persone, è un interesse: il voto, l’essere rieletti. 
Il Papa è eletto per sempre. Sa che deve rispondere unicamente a Dio che è Padre di tutti e che conosce anche il numero dei capelli del nostro capo. Dio ci incontra personalmente. Ci chiama per nome. Papa Francesco vorrebbe realizzare un incontro impossibile: con tutti. I potenti, le autorità abitano nei palazzi. Le guardie del corpo, il pericolo reale per la loro vita, li separano dalla gente qualunque...
Non può, per ovvie ragioni aprire i portoni del Vaticano, può però telefonare. Anche senza intermediari. Un cellulare permette connessioni dirette. E se il mondo è troppo grande, abitatissimo, oltre sei miliardi di persone per connettersi con ogni persona, può almeno decidere di pigiare velocemente dei numeri che danno il via ad una relazione mediata ma vibrante. 
Non è la soluzione. La telefonata ad Alejandra, che gli ha scritto una mail, non chiude la ferita della violenza. Le restituisce considerazione, stima da tutta la Chiesa che il Papa rappresenta. Le ridona una relazione rispettosa ed affettuosa spezzata dall’oltraggio. Questa, come le altre telefonate, ad esempio alla madre dell’imprenditore Ferri assassinato a Pesaro, ad un giovane di Padova, è un gesto di attenzione. E l’attenzione è ascolto, è amore che accarezza con lo sguardo il volto degli altri. Altri che non sono un esso, un lei, una funzione, un compito, una macchina da lavoro ma una persona. 
Così Francesco traccia una linea, indica una strada da percorrere alla Chiesa e a chi guida e governa. La comunità ecclesiale è tale perché è vicina alla gente. È fatta di persone in carne ed ossa. Sta dispersa sul territorio. La Chiesa è tra le case, là dove vi è il bisogno. Là dove vi è da celebrare le esequie di una giovane mamma; là dove vi è da festeggiare un fiocco rosa, i fiori d’arancio. Nella prossimità mostra il volto del Padre, che conosce ciascuno per nome...



La pace dell’inquietudine dell'amore di Sant'Agostino indicata da Papa Francesco - Cuori inquieti di Marina Corradi

Era maestro di retorica alla corte imperiale, era uomo di studi profondi e di amicizie intense, aveva una donna che amava. Agostino prima della conversione era, ha detto il Papa in apertura del Capitolo dell’ordine agostiniano, «un uomo arrivato». Eppure, interiormente insoddisfatto, cercava; per vie anche sbagliate, da peccatore, continuava a cercare il volto di Dio. È così attuale la vicenda umana di Agostino, che sembra storia di oggi. (Tendiamo sempre a pensare che i santi nascano già santi, dentro a un’aura immateriale e pura. Invece Francesco ha raccontato di un uomo, che un tempo non era così profondamente diverso da noi). Che cosa ne suscitò il cambiamento? Dapprima una insoddisfazione, una tenace inquietudine; come se tutto ciò che quell’uomo aveva non gli potesse bastare. Poi, anche quando trova Dio, Agostino non si chiude in se stesso come fosse arrivato; invece è spinto dall’urgenza di annunciare agli altri il Dio che ha incontrato. «Sempre in cammino, sempre inquieto», ha detto Francesco: questa, ha aggiunto, «è la pace dell’inquietudine».
La pace dell’inquietudine. In questo mese in molti abbiamo riposato, credendo di poter finalmente trovare in giornate tranquille la pace che ci sfugge, crediamo, per troppi impegni. Ma qualcuno di noi ha sperimentato, proprio nel sospirato momento in cui si può stare tranquilli, l’insorgere di una sottile inquietudine. Come se qualcosa, anche nella bellezza del mare o delle montagne, mancasse; come se la pace non si presentasse in quel riposo, e anzi la sua mancanza, nella quiete e nel silenzio, si facesse più vistosa. Insomma, abbiamo sperimentato l’inquietudine nella pace; e oggi invece il Papa ci dice di una pace dell’inquietudine. Sembra, questa pace agostiniana di cui parla Francesco – in un forte eco di Benedetto XVI, da sempre innamorato di Agostino – qualcosa di totalmente diverso dalla pace come la intendiamo noi, quando andiamo in vacanza e ci ripromettiamo: adesso, non ci sono per nessuno. La nostra pace immaginaria è un chiudersi; è un atollo di cui difendiamo gelosamente i confini.
La pace di cui ha parlato il Papa invece è un essere in cammino: giacché non può smettere di andare, chi cerca il volto di Dio. Né può ignorare i compagni di strada che gli si affiancano; perché anzi avverte l’ansia di dire, a quegli sconosciuti, del Dio che ha incontrato. Ci ha chiesto, il Papa, se siamo fra gli inquieti, o fra quelli che «si sono accomodati» nella vita cristiana: paghi di ciò che hanno. Una domanda su cui varrebbe la pena ci soffermassimo, se siamo tra quanti hanno sperimentato, nella pace dell’estate, una confusa inquietudine. Come se qualcosa, anche quando all’apparenza non manca niente, cocciutamente mancasse. Come se fossimo fatti per qualcosa di più grande di ciò che stringiamo fra le mani...
Leggi tutto: Cuori inquieti di Marina Corradi

Omelia durante la Santa Messa in occasione dell'apertura del Capitolo Generale dell'Ordine Agostiniano, presieduta da Papa Francesco nella Chiesa di Sant'Agostino
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"La profezia del silenzio" di Enzo Bianchi



La profezia del silenzio
di Enzo Bianchi


Se nella nostra società “l’uomo è diventato un’appendice del rumore” (Max Picard), si fa sempre più urgente l’esigenza che ciascuno ritrovi la propria umanità attraverso la riscoperta del silenzio e l’apprendimento dell’antichissima arte di “ascoltare il silenzio”. Impresa certo non semplice, se già Eraclito definiva i propri simili come “incapaci di ascoltare e di parlare”: da allora forse abbiamo l’impressione di aver compiuto passi in avanti nella capacità di parlare, ma certo quanto ad ascolto sembriamo tornati indietro di secoli. Abbiamo bisogno di una pedagogia dell’ascolto che può prendere le mosse solo dal silenzio. Sì, “ascoltare il silenzio” può sembrare un ossimoro, invece è la chiave che apre il mondo dell’ascolto autentico e della comprensione di ciò che si sente.
La tradizione spirituale non solo cristiana ha sempre riconosciuto l’essenzialità del silenzio per una vita interiore autentica. “La preghiera – ha detto il Savonarola, che pur di discorsi appassionati ben si intendeva – ha per padre il silenzio e per madre la solitudine”. Solo il silenzio, infatti, rende possibile l’ascolto, cioè l’accoglienza in sé non soltanto della parola pronunciata, ma anche della presenza di colui che parla. Il silenzio è linguaggio di amore, di profondità, di presenza all'altro. Del resto, nell'esperienza amorosa il silenzio è spesso linguaggio molto più eloquente, intenso e comunicativo delle parole. Purtroppo oggi il silenzio è raro, è forse la realtà maggiormente assente nelle nostre giornate: siamo bombardati da messaggi sonori e visivi, i rumori ci derubano della nostra interiorità e le parole stesse vengono immiserite dal loro essere urlate, ridotte a slogan o invettive. Ora, “quando diminuisce il prestigio del linguaggio aumenta quello del silenzio” (Susan Sontag). Dobbiamo confessarlo: abbiamo bisogno del silenzio!...



giovedì 29 agosto 2013

LETTERA A PADRE PAOLO DALL'OGLIO

Da tempo seguiamo con partecipazione la missione di un amico lontano, padre Paolo Dall'Oglio. Un grande poeta italiano, Lucio Dalla, ci ha insegnato tanti anni fa che agli amici lontani è importante scrivere; per loro, ma anche per noi. Come lui, anche noi abbiamo cercato il modo per scrivere con più forza, una forza capace di superare la lontananza, che è solo fisica. Questa forza l'abbiamo trovata nel più semplice dei modi possibili, facendolo insieme. 

Caro Paolo, 
siamo fisicamente lontani dalla terra dove si svolge la tua missione, una missione umanitaria e di pace nella verità e nella testimonianza, per impedire che la lotta per la dignità umana, la libertà e la democrazia contro il regime siriano si sgretoli in lotte fratricide, etniche o irriguardose dell'uomo. 
La tua scelta di coraggio e dedizione è un servizio reso anche a noi, del quale ti ringraziamo, partecipi. 
Chi ha varcato i confini è sempre entrato in una terra incognita: a noi interessa solo dirti che non lo hai fatto da solo ma con tutti quelli che come te attendono «il giorno in cui Siria sarà sinonimo di resurrezione». Sono le parole con cui concludi il tuo ultimo libro, e con le quali hai aperto quello che stai scrivendo. 

Con affetto, alcuni dei tuoi amici giornalisti, 

Alberto Bobbio, Rosario Carello, Riccardo Cristiano, Maurizio Di Schino, Donatella Della Ratta, Camille Eid, Shadi Fahle, Stefano Femminis, Luca Geronico, Maria Gianniti, Shady Hamadi, Salvatore Mazza, Corradino Mineo, Ruggero Po, Amedeo Ricucci, Alberto Savioli, Lorenzo Trombetta, Gianni Valente, Eva Ziedan 

28 agosto 2013 
(fonte FAMIGLIA CRISTIANA)

Padre Dall'Oglio: 
l'ultimo video prima del probabile rapimento


Guarda i nostri precedenti post:


Tanti i no alla guerra in Siria... un dialogo è ancora possibile!!!

Appello di Papa Francesco al termine dell'Angelus del 25/8/2013: 
Con grande sofferenza e preoccupazione continuo a seguire la situazione in Siria. L’aumento della violenza in una guerra tra fratelli, con il moltiplicarsi di stragi e atti atroci, che tutti abbiamo potuto vedere anche nelle terribili immagini di questi giorni, mi spinge ancora una volta a levare alta la voce perché si fermi il rumore delle armi. Non è lo scontro che offre prospettive di speranza per risolvere i problemi, ma è la capacità di incontro e di dialogo...
Guarda il video

«In Siria un conflitto c’è già, si tratta di vedere come spegnere il fuoco non come alimentarlo. Di fronte a una guerra non si può rispondere con un’altra guerra. Vuol dire che di una tragedia ne facciamo due». 
Don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi, si dice «triste ed amareggiato» per la piega che stanno prendendo gli eventi in Siria. 
L’America dice che non si può più restare inermi di fronte ai crimini commessi dal regime di Assad. 
«La guerra, ogni guerra è un’avventura senza ritorno. Anzi, come ha detto papa Francesco, è il suicidio dell’umanità. Basta vedere a quello che è successo in Afghanistan, in Iraq, in Libia: il rovesciamento del capo del regime non ha portato affatto la pace. È una storia che si ripete sempre, con amarezza: noi abbiamo sempre cullato i dittatori, li abbiamo ritenuti nostri amici, li abbiamo armati e poi abbiamo detto che bisognava fargli la guerra. È successo con Saddam e poi con Gheddafi. La comunità internazionale ha fatto di tutto con la sua indifferenza a far precipitare della situazione, l’Italia stessa ha venduto le armi alla Libia e poi si è detto che bisognava bombardare. Questa non è pace. La guerra non è mai la strada da percorrere, come afferma la Dottrina sociale della Chiesa e come ha ribadito qualche giorno fa mons. Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra. 
Una chiave di questo precipitare degli eventi potrebbe essere quella delle pressioni esercitate da parte delle lobby delle armi. Qualcuno parla già di accordi economici e militari tra Usa e Arabia Saudita»...

È unanime la posizione delle comunità cristiane del Medio Oriente contro i raid che Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia con il sostegno della Turchia e della Lega Araba si appresterebbero a lanciare sulla Siria in risposta all'uso di armi chimiche da parte dell'esercito del presidente Assad. Nelle chiese lo si considera senza esitazioni un passo destinato a creare ulteriori problemi anziché soluzioni per la guerra che da due anni e mezzo ormai sfigura la Siria...

Nel giorno in cui il mondo sta con il fiato sospeso in attesa di capire se e quando gli Stati Uniti decideranno di intervenire militarmente contro la Siria, le Chiese cristiane levano la loro voce perché intervengano le Nazioni Unite, si avvii un’azione investigativa sul posto e soprattutto si attivino tutti i mezzi politici e negoziali possibili per trovare una soluzione pacifica che metta finalmente la parola fine alla guerra siriana e al calvario di un popolo. Papa Francesco dunque non è solo: dopo il suo accorato appello per la pace in Siria lanciato domenica scorsa all’Angelus, fanno eco in questi giorni gli organismi e i responsabili delle Chiese cristiane...

“Fermate le armi, per carità di Dio! Usa, Gran Bretagna, Francia e loro alleati, ascoltate le parole di Papa Francesco. Fermate le armi! Non uccidete il dialogo!”: è l’accorato appello di Gregorios III, il patriarca greco-cattolico di rito melchita, la cui sede è Damasco, davanti al conto alla rovescia per l’attacco alla Siria... Le parole del Papa sono profetiche, sapienti e sagge: chiama a far tacere le armi, e far parlare il dialogo. Le armi non sono la soluzione ai problemi della Siria. Mi chiedo: chi ha portato la Siria nel baratro? Chi ha portato armi e combattenti stranieri da tutto il mondo nei suoi confini. Stiamo andando all’inferno. La Siria non è un campo aperto, è la nostra Patria. Non è criminale introdurre armi distruttive nel nostro territorio? Non è criminale dare sostegno a bande di radicali islamici che spargono morte e terrore nel popolo siriano? ... Lanciare un attacco oggi è da criminali. Questi Paesi occidentali non si rendono conto del pericolo. Cosa pensano di risolvere con le armi? Cosa... Credo molto nella forza di riconciliazione dei siriani, è nella loro natura, fa parte della loro storia millenaria. La nostra salvezza è la riconciliazione, non le armi. Lasciateci riconciliare.

... Un’azione militare ci sarà, sarà probabilmente limitata e non risolverà in tempi brevi una situazione ormai irrisolvibile dal punto di vista militare. Finirà per aggravare le condizioni della popolazione, perché ridarà fiato alla guerra. È come se gli Stati Uniti dovessero ormai «fare qualcosa»: gli inglesi premono, i francesi altrettanto, gli alleati arabi sunniti pure. E il messaggio mediatico che è stato veicolato è inequivocabile e impegnativo: i crimini non possono restare impuniti. La cosa più drammatica è però che a questo punto nessuno – dicono – appare più disposto a fare un passo indietro: non le potenze occidentali, non la Russia e l’Iran (in convergenza con la Cina) grandi protettori di Assad, non il regime stesso di Damasco. I generali americani suggeriscono il lancio di missili: un’azione breve, limitata e altamente “chirurgica” al punto da non indurre gli altri “attori” a reagire più del dovuto. Una sorta di “calcolo della polvere” per confezionare l’ordigno di un’esplosione pilotata, come quando si abbatte in un colpo solo un vecchio grattacielo. Ma se il calcolo fosse sbagliato? Paralizzata e scavalcata l’Onu, resa inutile la verità, ignorato a lungo il grido di chi soffre in Siria, la situazione pare inesorabilmente destinata a fare un triste salto verso il buio. Eppure il tempo per un passo indietro c’è ancora. Prima che un ulteriore avvitamento della crisi possa creare in una regione martoriata da guerre e ingiustizie una situazione forse mai vista prima. Il cammino della pace, stavolta più che mai, comincia con un passo indietro. Chi sarà disposto a farlo per primo?

Troppe contraddizioni nella versione Usa sull'uso delle armi chimiche. Non si vuole aspettare nemmeno i risultati dell'inchiesta Onu. È falso pensare che un attacco militare aiuterà la conferenza di pace. Invece essa aiuterà gli islamisti, che vogliono dominare nell'opposizione...

mercoledì 28 agosto 2013

«I have a dream»: «Ho un sogno» - Il celebre discorso di Martin Luther King compie 50 anni, ma... non li dimostra!!!


Cinquant’anni fa, il 28 agosto 1963 a conclusione di una marcia sui diritti civili a Washington, Martin Luther King tenne il suo famoso discorso «I have a dream». Ecco la storia di quelle storiche parole.


«I have a dream»: «Ho un sogno». Era consapevole, il reverendo Martin Luther King, di incidere le sue parole nel marmo vivo della Storia? Sì, lo era. Quel 28 agosto del 1963, al termine di una marcia di protesta per i diritti civili, quando pronunciò il suo discorso davanti al Lincoln Memorial di Washington era consapevole di aver parlato con parole che avrebberolasciato il segno: «Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla Storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella storia del nostro Paese» disse Luther King.

One Man. One March. One Speech. One Dream.
Dal 28 agosto 1963 l'espressione «I have a dream» e diventata un'icona universale. In un discorso di 17 minuti (vedi un estratto video qui sotto), il reverendo Martin Luther King ha condensato la potenza del suo messaggio, affidandolo ai posteri. Da quel momento la lotta contro il razzismo e la segregazione razziale non è stata più la stessa. Ha trovato nuova forza, radici e soprattutto un simbolo. Il discorso pronunciato davanti a250.000 persone è stato uno dei più studiati (e copiati) della storia. Linguisti, filosofi, ghostwriter, teologi, esperti di comunicazione lo hanno sezionato e analizzato da qualsiasi prospettiva...
Leggi tutto: I have a dream, la storia del discorso di Martin Luther King

Ecco un'estratto, sottotitolato in italiano, del celebre discorso.

... Il “sogno” di Martin Luther King e di noi tutti è un mondo privo di ingiustizie, discriminazioni, di indifferenza, di odio e violenza nei confronti di chi è più debole e cerca accoglienza e aiuto, dove l'altro, il diverso, l'oppresso, l'emarginato possano riscattarsi da una condizione di subalternità e ghettizzazione, in nome della Nonviolenza e della forza degli ideali, sorretta dalla verità. L'uguaglianza di diritti e il valore della diversità dei caratteri umani sono presupposti cardine, imprescindibili contro ogni razzismo imperante, che ancora attualmente si impone nella nostra società, sempre più orientata a modelli egoistici di prevaricazione sull'altro, arroccata sulla violenza, anche tramite la schiacciante indifferenza...

''Non è il momento per commemorazioni nostalgiche. E non è il momento per auto celebrarsi. Il lavoro non è ancora finito. Il viaggio non è ancora stato completato. Possiamo e dobbiamo fare di più'''. Lo afferma Martin Luther King III, il figlio maggiore di Martin Luther King, intervenendo dal palco su cui suo padre pronunciò lo storico discorso 'I have a Dream'. (fonte: Ansa)

Guarda anche i nostri precedenti post:


martedì 27 agosto 2013

Siria: fare mussalaha (riconciliazione) - Alla lettera di Pax Christi la risposta di Avvenire e approfondimenti sulla questione siriana


Sergio Paronetto, Vicepresidente di Pax Christi Italia scrive ad Avvenire ed il direttore Marco Tarquinio risponde


Caro direttore
le notizie di terribili violenze provenienti dalla Siria, controverse nella loro dinamica e nella attribuzione, segnalano ancora una volta la drammatica urgenza di una soluzione politica. Le morti si sommano alle morti in una spirale devastante. L’amore per la vita e il desiderio di convivenza fondata sulla riconciliazione ( Mussalaha) spingono a insistere sulla forza politica della nonviolenza...
Sergio Paronetto - Vicepresidente di Pax Christi Italia

Condivido l’orrore e la speranza che lei esprime, caro amico. Interamente. Conosco esperienze straordinarie di negoziati di pace e di riconciliazione condotti fuori dalle sedi consuete e coronati dal successo. Ma non conosco un “cessate il fuoco”, uno solo, che negli ultimi decenni su un fronte ferocemente in movimento si sia realizzato senza l’ausilio di una forza d’interposizione (tra i belligeranti) e di controllo (su di essi) promossa dalle Nazioni Unite e accettata (per amore o per forza) da tutte le parti in causa...
Marco Tarquinio - Direttore di Avvenire

Per approfondire la questione siriana:

Sveglia! di Flavio Lotti - Appello urgente per la pace nel Mediterraneo e in Medio Oriente.

Sveglia!
Articolo di Flavio Lotti

Appello urgente per la pace nel Mediterraneo e in Medio Oriente. Non c’è più tempo per l’indifferenza e l’ipocrisia. Agire è difficile. Non farlo sarà catastrofico.


Sveglia! Quello che sta succedendo ad un passo dai nostri confini (in Siria, Egitto ma non solo) è estremamente pericoloso. E richiede la nostra attenzione urgente perché riguarda molto da vicino la vita nostra e dei nostri figli.

Chi più di noi può capire che qui nel Mediterraneo si sta forgiando il nostro futuro? Chi più di noi deve temere le conseguenze drammatiche delle stragi quotidiane di vite umane, delle atrocità e dei crimini che si stanno consumando lungo le sponde di questo mare? 

Eppure la politica tace. E quando parla, nessuno se ne accorge. L’informazione è distorta, superficiale, frammentata. E anche la coscienza civile sembra disinteressata e disimpegnata.

Certo, anche l’Italia sta vivendo una crisi difficile. Ma ignorare quello che sta accadendo a ridosso delle nostre frontiere, il sangue che sta scorrendo, la sofferenza che sta montando, le fratture che si stanno moltiplicando, le tensioni che si stanno intrecciando, non ci consentirà di uscirne.

E’ vero: l’Italia non può fare da sola. Ma se l'Onu è emarginata e l'Unione Europea balbetta disordinatamente la colpa è dei governi e, nella sostanza, delle forze politiche che li compongono e li sostengono. Per questo abbiamo innanzitutto bisogno di cambiare il nostro atteggiamento. E quello dell’Italia.

Negli ultimi due anni abbiamo sprecato molte opportunità. La situazione è (sempre più) complessa, la nostra capacità di influenzare gli eventi è (sempre più) limitata, ma quello che possiamo fare va fatto, presto e bene.

Abbiamo bisogno di capire cosa sta accadendo, di aprire un grande dibattito pubblico che consenta all’Italia di definire una proposta politica lungimirante e di trasformarla in politica europea. Serve una diffusa progettualità concreta che coinvolga cittadini, associazioni e istituzioni dalle città all’Onu. Abbiamo bisogno di mettere le istituzioni democratiche della comunità internazionale nella condizione di operare tempestivamente ed efficacemente per la risoluzione pacifica dei conflitti, il disarmo, la sicurezza umana e la costruzione della pace positiva. Abbiamo bisogno di agire concretamente senza dover ricorrere all'intervento armatoche, al di là di ogni pur necessaria considerazione di carattere etico e giuridico, non potrebbe che causare ulteriori sofferenze e instabilità come dimostra la miope prassi degli ultimi vent'anni. Ma per questo serve una visione per il futuro e serve rinsaldare quei principi fondamentali che sono alla base della convivenza e che devono guidare l’azione politica a tutti i livelli: il ripudio della guerra, la condanna per ogni forma di violenza e di arbitrio, il primato della dignità umana, il rispetto del diritto internazionale dei diritti umani, il dovere di solidarietà con tutte le vittime. Non c’è più tempo per l’indifferenza e l’ipocrisia. Agire è difficile. Non farlo sarà catastrofico. 

Savino Pezzotta, Don Luigi Ciotti, Flavio Lotti, Antonio Papisca, Marco Mascia, Marco Vinicio Guasticchi, Beppe Giulietti, Ottavia Piccolo, p. Efrem Tresoldi, Gabriella Stramaccioni

Per adesioni e comunicazioni: Tel. 335.6590356 - 075/5736890 - fax 075/5739337 email: adesioni@perlapace.it - www.perlapace.it 



Omelia di P. Aurelio Antista (video)


XXI domenica T. O. (ANNO C)
25/8/2013

Omelia di P. Aurelio Antista 
Fraternità Carmelitana
 di Pozzo di Gotto


"In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme." Così iniziava la pagina del Vangelo che abbiamo ascoltato; pagina in cui l'evangelista Luca ancora una volta ci ricorda questo lungo cammino di Gesù verso Gerusalemme, un itinerario che richiama il cammino della vita, che ha quale meta Gerusalemme, la città di Dio, la città della pace, la città della fraternità ...

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Quindicimila schiavi (fra l'indifferenza) nel regno dei pomodori

Alla parola schiavi si connette immediatamente l’immagine del nero o della nera. Così facendo compiamo un insulto alla persona di colore che identifichiamo solo per il colore della pelle, quando identificare non significhi poi classificare o de-classificare. Schiavo oggi, nella nostra nazione che vuole essere civile e colta e, magari, in ripresa, sta assumendo un significato diverso, cui aderisce vivo il disgusto ma che rimbalza con violenza su di noi e sulle nostre mense: gli schiavi dei pomodori. 
Non può lasciare indifferente una simile discriminazione sociale. 
L’Italia è ricca di colture di pomodori, frutti che si associano subito a piatti prelibati e gustosi. Non voglio guastare il pranzo a nessuno, neppure a me stessa quando arriva una buona pizza o un piatto fumante di maccheroni al sugo di pomodoro, ma sono state mani e gambe di schiavi che mi hanno servito...



lunedì 26 agosto 2013

Addio a Don Enrico Chiavacci, teologo dell'amore cristiano.

Questa notte don Enrico Chiavacci - maestro, libero, liberante ed esigente, capace d'interpellare le radici della Coscienza - è entrato nella VITA! 
(P. Giovanni Ladiana su Fb)

Don Enrico Chiavacci, (morto questa notte) è stato per molti, e per Pax Christi in particolare, un padre teologico-culturale, un maestro in etica sociale.
Ha accompagnato, in questi anni, con le sue riflessioni il cammino di approfondimento etico e teologico che conduce a una ferma denuncia della guerra, della corsa agli armamenti e di una finanza che diventa idolatria. 
Lo affidiamo con gratitudine alle braccia del Padre nella luce della Risurrezione di Cristo. 
Ha offerto, con generosità e competenza, la sua disponibilità in incontri pubblici, convegni, congressi e approfondimenti, sia al movimento che alla rivista Mosaico di pace e al centro Studi economico sociali per la pace di Pax Christi. Siamo profondamente grati a lui e al Padre per questo prezioso dono che è stata la sua vita e il suo pensiero. 
Ricordiamo, tra gli innumerevoli suoi interventi, la collaborazione per un dossier di Mosaico di pace su “finanza ed etica” nel quale, tra l’altro, scriveva: “…ritengo che ogni forma di speculazione o di gioco in borsa sia complicità o inavvertita cooperazione con l’idolatria, col male assoluto in radicale opposizione con l’annuncio evangelico…” (il dossier con l’articolo di mons. Enrico Chiavacci, “Non potete servire due padroni”, è interamente online nel sito di Mosaico di pace alla sezione archivio/2004/dossier, http://www.mosaicodipace.it/mosaico/a/3181.html). 
A noi ora è affidata la preghiera e il dovere morale di dar seguito all'impegno e alla passione che don Enrico ha sempre manifestato per la giustizia e la pace. 
Pax Christi Italia
Firenze 26 agosto 2013

Il sindaco Gianni Gianassi ha inviato un telegramma alla parrocchia di San Silvestro a Ruffignano, a Firenze, esprimendo le più sentite condoglianze dell’amministrazione comunale di Sesto Fiorentino per la scomparsa di don Enrico Chiavacci.
“Con lui se ne va una figura di spicco del mondo cattolico del dopoguerra - ha scritto Gianassi - teologo morale di chiara fama, si ricorda la sua riflessione appassionata, aperta al futuro e priva di ogni dogmatismo, sui grandi temi della morale, anche in stretto rapporto con le questioni più urgenti posti dall'agire politico in anni di profonda divisione del mondo in blocchi contrapposti, così come il costante impegno, speso senza risparmio di energie e sempre in prima linea, contro la guerra ed ogni forma di violenza e prevaricazione dell'uomo sull'uomo in nome di fini disumani. Con la scomparsa di don Chiavacci - ha concluso il sindaco - scompare una voce libera, critica ed indipendente di cui sentiremo la mancanza”.

Tuonava contro il "dio profitto" e non si tirava mai indietro quando c'erano da affrontare temi controversi come l'omosessualità secondo la morale cristiana. Il teologo don Enrico Chiavaci si è spento il 25 agosto nella parrocchia di san Silvestro a Ruffignano (Firenze), della quale è stato parroco a partire dal 1961. Nato a Siena nel 1926 e ordinato presbitero nel 1950 è stato docente di teologia morale presso la facoltà teologica dell'Italia centrale. Alla metà degli anni '80 la pubblicazione della sua opera "Teologia morale e vita economica (Cittadella, Assisi 1986) offrì un notevole contributo all'elaborazione ed alla diffusione di una cultura della pace, della solidarietà, della liberazione, dei diritti umani...


Coro unanime di protesta sulla scelta di mettere in vendita la tenuta di Suvignano a Monteroni d'Arbia (Siena), la più grande confiscata alla Mafia nel centro Italia.

La recente decisione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata di mettere in vendita l'azienda Agricola Suvignano, in provincia di Siena, ha riproposto all'attenzione pubblica la necessità di salvaguardare il principio del riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie.
Questa vicenda, infatti, ha suscitato la reazione (una eventualità che può essere ancora scongiurata evitando quella che sarebbe - al di là delle intenzioni - a tutti gli effetti una sconfitta dello Stato) degli enti locali e dei rappresentanti del mondo dell'associazionismo, del sindacato e della cooperazione, confermando la tesi che i beni confiscati devono essere sempre considerati un'opportunità di coesione territoriale, di sviluppo di reti relazionali e di lavoro vero per i giovani.
Grazie all'uso sociale dei beni confiscati, infatti, pur tra limiti e difficoltà ancora da superare, sono tante le associazioni e le cooperative sociali che in questi anni hanno operato per restituire, concretamente, alla collettività ville, appartamenti e terreni agricoli sottratti ai patrimoni dei boss.
Valorizzare queste esperienze, sostenerle nei loro sforzi, significa affermare, nell'impegno quotidiano, che la legalità conviene. Per queste ragioni l'uso sociale dei beni immobili confiscati deve restare una priorità assoluta, risolvendo i problemi che esistono ed evitando pericolose scorciatoie, come quelle della vendita, che può essere prevista solo in situazioni eccezionali.
Sono stati numerosi in questi giorni gli appelli a non procedere alla vendita della più grande azienda agricola confiscata in Italia e a riprendere il percorso avviato dal tavolo istituzionale...

La più grande tenuta del Centro Italia confiscata alla mafia 19 anni fa è stata messa all'asta, ignorando i progetti di riutilizzo sociale avanzati da enti locali e associazioni. Con il rischio che il bene, anziché essere restituito ai cittadini, torni alla criminalità organizzata.
Storia triste di un bene confiscato alla mafia e infine messo all'asta. Dicannove anni fa, la prima confisca.

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domenica 25 agosto 2013

Angelus del 25 agosto 2013 - Testo e video

25 agosto 2013


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
il Vangelo di oggi ci invita a riflettere sul tema della salvezza. Gesù sta salendo dalla Galilea verso la città di Gerusalemme e lungo il cammino un tale – racconta l’evangelista Luca – gli si avvicina e gli chiede: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?» (13,23). Gesù non risponde direttamente alla domanda: non è importante sapere quanti si salvano, ma è importante piuttosto sapere qual è il cammino della salvezza. Ed ecco allora che alla domanda Gesù risponde dicendo: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno» (v. 24). Che cosa vuol dire Gesù? Qual è la porta per la quale dobbiamo entrare? E perché Gesù parla di una porta stretta?
L’immagine della porta ritorna varie volte nel Vangelo e richiama quella della casa, del focolare domestico, dove troviamo sicurezza, amore, calore. Gesù ci dice che c’è una porta che ci fa entrare nella famiglia di Dio, nel calore della casa di Dio, della comunione con Lui. Questa porta è Gesù stesso (cfr Gv 10,9). Lui è la porta. Lui è il passaggio per la salvezza. Lui ci conduce al Padre. E la porta che è Gesù non è mai chiusa, questa porta non è mai chiusa, è aperta sempre e a tutti, senza distinzione, senza esclusioni, senza privilegi. Perché, sapete, Gesù non esclude nessuno...
Leggi il testo integrale dell'Angelus.

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Omelia di don Angelo Casati nella 21ª Domenica del Tempo Ordinario



21ª Domenica del Tempo Ordinario anno C
25 agosto 2013

omelia di don Angelo Casati



Is 66, 18-21
Sal 116
Eb 12, 5-7.11-13
Lc 13, 22-30


E, ancora una volta, Gesù non entra nelle nostre domande sbagliate: è una porta troppo stretta. Gesù non entra.

Un tale gli chiese: "Signore, sono pochi quelli che si salvano?".

A Gesù questi discorsi fatti sulla pelle degli altri, sulla salvezza degli altri, non interessano. Non gli interessa questo dibattere sugli altri. Sugli altri, perché la nostra salvezza è data per scontata.

Infatti la risposta di Gesù è: "Sforzatevi voi, lottate voi, fate gara ad entrare per la porta stretta".
E qui nasce un enigma, un enigma da interpretare: la porta stretta. Che cos'è la porta stretta? In che senso è stretta? Provoca un restringimento la porta della salvezza?...

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omelia di don Angelo nella 21ª Domenica del Tempo Ordinario


sabato 24 agosto 2013

"Un cuore che ascolta - lev shomea' " - n. 34 di Santino Coppolino

Rubrica
'Un cuore che ascolta - lev shomea'
"Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)

Traccia di riflessione sul Vangelo della Domenica
di Santino Coppolino




Vangelo: Lc 13,22-30




"Lottate per entrare dalla porta stretta".

Lottate -agonizeste- scrive Luca, perchè entrare nel Regno è una lotta contro la mentalità del mondo, lotta principalmente contro se stessi, contro il proprio io, gonfiato a dismisura dalla ricerca e dall'accumulo dei beni e delle ricchezze. Passare per la porta stretta significa lasciare dietro ogni cosa, idea, progetto che non ci permette di camminare spediti verso la meta che è la costruzione del Regno di Dio, così come il popolo ebraico nel deserto per poter sopravvivere doveva viaggiare leggero, con poche masserizie: solo l'essenziale.

E la Porta stretta è Gesù. E' Lui, l'assunzione del suo stile di vita, del suo desiderio di uguaglianza, di giustizia, di fraternità, di somiglianza con gli ultimi, gli oppressi,i diseredati, gli "Anawjjm Jahweh", il lasciapassare per entrare nel Regno. Per questo, pochi versetti più avanti, Gesù guarirà, prendendolo per mano, un idropico, l'uomo gonfio, l'uomo pieno di sé, impossibilitato perciò a passare per la porta stretta. Voglia il Signore prenderci tutti per mano, liberarci dall'Ego mostruosamente gonfiato che ci impedisce di entrare nel Regno e condurci sui sentieri della vita.

"Dal risorto verrà l'aiuto" di Carlo Maria Martini

Il volume "Credo la vita eterna" (a cura di G. Vigini, San Paolo, Milano, pagg. 188), da cui è tratto questo stralcio pubblicato dal quotidiano «Il Sole 24Ore», contiene le riflessioni che il cardinale Carlo Maria Martini (scomparso il 31 agosto dello scorso anno) fece attorno al tema della paura della morte e del suo superamento.

Dal risorto verrà l'aiuto 
di Carlo Maria Martini

Che cosa potevano aspettarsi gli apostoli dal Risorto? Non avevano la coscienza a posto: erano fuggiti, l'avevano abbandonato, si erano lasciati prendere dalla paura, qualcuno lo aveva tradito, quasi nessuno era sotto la croce. Forse immaginavano che, se Gesù fosse apparso, li avrebbe rimproverati e criticati. Invece il Risorto, presentandosi a loro, non giudica il comportamento che hanno avuto, non critica, non condanna, non rinfaccia i ricordi dolorosi della loro debolezza, ma conforta e consola. Le uniche parole di rimprovero rivolte sia ai discepoli di Emmaus (Lc 24,25), sia agli apostoli (Mc 16,14), non si riferiscono al fatto che lo hanno abbandonato e che, dopo tante promesse, tante parole altisonanti (moriremo, con te, verremo con te), si sono dimostrati inaffidabili; si riferiscono piuttosto alla loro poca fede. Avrebbero dovuto credere alle Scritture, alle sue parole e alla Testimonianza di chi lo aveva visto risorto. Gesù, che vuole il bene di questi poveri apostoli tramortiti, smarriti, confusi, umiliati, interiormente sconvolti dalla certezza di essere così deboli, non tiene conto della loro fragilità, ma li consola e li rilancia.
Soffermiamoci su alcuni esempi di discepoli consolati...




venerdì 23 agosto 2013

LUMEN FIDEI LA FEDE COME CAMMINO di Fulvio De Giorgi

La fede è l’incontro personale con la persona vivente di Gesù: è accoglierlo come Signore, come Liberatore. Gesù è il Pedagogo e la Pedagogia: è via, verità e vita. La pedagogia della fede sarà anche istruzione sulle verità rivelate e credute, ma prima ancora è adesione a Gesù-via (al suo Insegnamento-via) e dunque cristoconformazione: innesto personale e vivente in Gesù-vita.
Papa Francesco, sulla scorta della Parola e della grande Tradizione cristiana, presenta così la fede sia come cammino (Gesù-via) sia come luce che illumina quel cammino (Gesù-verità): ma il cammino non si può sperimentare se non camminando, cioè realizzando nella propria vita l’incontro e l’abbraccio d’assenso con la Persona di Gesù (Gesù-vita).

Un rapporto dialettico
Il rapporto tra luce e cammino è un rapporto dialettico, secondo una struttura temporale sincronica: non nella logica della diacronia (pur distendendosi nella diacronia e qualificandolacome ‘vita di fede’, sequela di Cristo e cioè ‘storia di salvezza’). Scrive il papa Francesco: “La fede è, inoltre, conoscenza legata al trascorrere del tempo, di cui la parola ha bisogno per pronunciarsi: è conoscenza che s’impara solo in un cammino di sequela” (Lumen fidei, n. 29). Ma l’aspetto pedagogico è tutto sul cammino, che la luce rende possibile e abilita. Non si può insegnare la luce, si può insegnare il cammino: mostrandolo. Mostrare al buio non porta a nulla, mostrare alla luce indica una condizione di possibilità reale.
La luce non appartiene alla struttura naturale dell’essere umano, è donata soprannaturalmente da Dio: fa vedere il cammino (vedere i nn. 4 e 7). La risposta libera del credente è incamminarsi per quella via. “La fede, che riceviamo da Dio come dono soprannaturale, appare come luce per la strada, luce che orienta il nostro cammino nel tempo”. “La fede ci apre il cammino e accompagna i nostri passi nella storia”. “È per questo che, se vogliamo capire che cosa è la fede, dobbiamo raccontare il suo percorso, la via degli uomini credenti” (nn. 4 e 8)...