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domenica 30 giugno 2013

Dopo 100 giorni amiamo già Papa Francesco, ma per conoscere di più Jorge Mario Bergoglio...

La vita di Jorge Mario Bergoglio, prima e dopo la sua elezione a Sommo Pontefice, è sempre stata contraddistinta da una eclatante sobrietà, che ha messo subito in luce i dettagli di un servizio episcopale volto alla cura pastorale dei sacerdoti e dei fedeli a lui affidati. Se entriamo per un istante nell’abitazione dove Jorge Bergoglio ha vissuto prima di diventare Papa – così come raccontato nel libro “Papa Francesco”,Conversazione con Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti – possiamo rintracciare alcuni aspetti principali della sobrietà a cui prima facevamo riferimento...
Ma c’è ancora un importante memoria che Jorge Mario Bergoglio conserva con particolare devozione e che rivela la sua grande spiritualità. Si tratta di una personale confessione di fede, scritta nel 1969, prima di essere ordinato sacerdote:
«Voglio credere in Dio Padre, che mi ama come un figlio, e in Gesù, il Signore, che ha infuso il suo spirito nella mia vita per farmi sorridere e portarmi così al regno di vita eterna. / Credo nella mia storia, che è stata trapassata dallo sguardo di amore di Dio e, nel giorno di primavera, 21 settembre, mi ha portato all’incontro per invitarmi a seguirlo. / Credo nel mio dolore, infecondo per l’egoismo, nel quale mi rifugio. / Credo nella meschinità della mia anima, che cerca di inghiottire senza dare… senza dare. / Credo che gli altri siano buoni, e che devo amarli senza timore, e senza tradirli mai per cercare una sicurezza per me. / Credo nella vita religiosa. / Credo di voler amare molto. / Credo nella morte quotidiana, bruciante, che fuggo, ma che mi sorride invitandomi ad accettarla. / Credo nella pazienza di Dio, accogliente, buona come una notte d’estate. / Credo che papà sia in cielo insieme al Signore. / Credo che anche padre Duarte [il sacerdote che lo confessò il 21 settembre, ndr]​​​​ stia lì intercedendo per il mio sacerdozio. / Credo in Maria, mia madre, che mi ama e mai mi lascerà solo. E aspetto la sorpresa di ogni giorno nel quale si manifesterà l’amore, la forza, il tradimento e il peccato, che mi accompagneranno fino all’incontro definitivo con quel volto meraviglioso che non so come sia, che fuggo continuamente, ma che voglio conoscere e amare. Amen».

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Luigi Spagnol, Presidente di Adriano Salani Editore, presenta il libro che raccoglie la testimonianza esclusiva, unica e personalissima, del nuovo Pontefice giunto a noi dalla fine del mondo.
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In cento giorni papa Bergoglio ha messo in moto una rivoluzione, che rappresenta un enigma. 
Ormai ha chiarito che non andrà più nell’appartamento del palazzo apostolico. Lo rifiuta apertamente. Così come rifiuta le pastoie di agende prestabilite. La decisione è così inaudita e sconvolgente che la palude conservatrice – annidata in Vaticano e nella Chiesa universale, seppure provvisoriamente azzittita dal fallimento del pontificato ratzingeriano – cerca di declassare il gesto a “stile personale”, a piccolo tic di originalità. Ma è come se Obama lasciasse la Casa Bianca o la regina d’Inghilterra disertasse Buckingham Palace, preferendo un alloggio accanto alla Victoria Station. Bergoglio svaluta radicalmente il Palazzo, esalta il vero capo della Chiesa – Cristo – e si colloca apertamente tra i “peccatori” come sono i fedeli cui si rivolge. 
I simboli contano molto. Specie quando vengono archiviati. Giorno dopo giorno il papa venuto dalla fine del mondo ha smontato la simbologia imperiale e simildivina dei pontefici. Ha rigettato la mantella e le scarpe purpuree degli imperatori romani, ha eliminato le mitrie trionfalistiche, si è messo sotto la pioggia con i fedeli, ha spiegato che vivere isolato da sovrano non gli è possibile per “motivi psichiatrici”, come a dire che è da anormali rinchiudersi in una torre d’avorio. La frase più tagliente – che molti in Vaticano e nelle sfere cardinalizie cercano di dimenticare – l’ha detta ad una bimba. (Scelta precisa di rivolgersi agli innocenti: Bergoglio come Giovanni XXIII non parla mai a caso). Chi punta al papato, ha scandito, non è a posto. “Una persona che vuole fare il papa non vuole bene a se stessa, e Dio non la benedice”...
Leggi tutto: L’appartamento vuoto di papa Francesco spaventa il vaticano (pdf)

Basterebbe quella signora che si presenta con un'immagine di Francesco vicino alla cappellina dove Bergoglio diceva messa ogni mattina, non la cappella privata dell'arcivescovo ma lì, a pochi passi dalla fermata del bus 126, «per stare in mezzo alla gente comune» che prima di salire prega sotto la statuetta della Madonna di Luján fatta collocare dal cardinale. La signora che racconta del giorno in cui passò una donna a chiedere l'elemosina mentre arrivava Bergoglio: «Lui si fermò, le domandò come stavano lei e la sua famiglia, poi le chiese se le occorresse qualcosa. Quando se ne andò, la donna si avvicinò e mi disse: "Questo è il padre che viene a Villa 21 a bere il mate con noi e tutti i vicini!"».Villa 21 è la favela più grande di Buenos Aires, la donna non aveva mai saputo che quel «padre» che la sera andava da solo a trovare i più miserabili della città fosse il cardinale, «glielo dissi io, e quasi non ci credeva», chissà se ora le hanno detto che è diventato Papa. 
«Ero Bergoglio, sono Francesco»(Marsilio), è una miniera di racconti simili, «il primo reportage sul Papa dalla fine del mondo» che Cristian Martini Grimaldi, 37 anni, ha scritto per l' Osservatore Romano e oggi - quasi a celebrare i primi cento giorni di Pontificato - esce in volume con la prefazione del direttore Giovanni Maria Vian, arricchito nei testi e da foto inedite, come una Recherche della vita del Pontefice...


... “Guarire dalla corruzione” e “Umiltà, la strada verso Dio” sono testi che l’allora cardinale Bergoglio offrì nel 2005 alla riflessione della sua diocesi riunita in assemblea. Entrambi i testi sono impregnati di spiritualità ignaziana, così come essa si esprime negli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio, alla quale questi libri attingono per descrivere i meccanismi profondi ed offrire vie di soluzione a fenomeni di estrema attualità quali la corruzione e l’urgenza di una vita ecclesiale improntata alla carità fraterna.
Se il libro dedicato alla corruzione è un testo di carattere morale, in quanto Bergoglio individua nel “cuore” la radice della corruzione, distinguendo poi, con grande originalità, questo fenomeno dal peccato, dall’altro lato il libro “Umiltà, la strada verso Dio” è un testo di carattere spiccatamente spirituale, essendo una sorta di introduzione ad un testo di Doroteo di Gaza sulla pratica dell’umiltà.


Gesù ci vuole liberi! E la libertà si fa nel dialogo con Dio nella propria coscienza. - Papa Francesco - Angelus del 30.06.2013

Gesù ci vuole liberi!
E la libertà si fa nel dialogo 
con Dio nella propria coscienza. 



Papa Francesco 

Angelus del 30.06.2013

"... Gesù non impone mai, Gesù è umile, Gesù invita. Se tu vuoi, vieni. L’umiltà di Gesù è così: Lui invita sempre, non impone.
Tutto questo ci fa pensare. Ci dice, ad esempio, l’importanza che, anche per Gesù, ha avuto la coscienza: l’ascoltare nel suo cuore la voce del Padre e seguirla. Gesù, nella sua esistenza terrena, non era, per così dire, “telecomandato”: era il Verbo incarnato, il Figlio di Dio fatto uomo, e a un certo punto ha preso la ferma decisione di salire a Gerusalemme per l’ultima volta; una decisione presa nella sua coscienza, ma non da solo: insieme al Padre, in piena unione con Lui! Ha deciso in obbedienza al Padre, in ascolto profondo, intimo della sua volontà. E per questo la decisione era ferma, perché presa insieme con il Padre. E nel Padre Gesù trovava la forza e la luce per il suo cammino. E Gesù era libero, in quella decisione era libero. Gesù vuole noi cristiani liberi come Lui, con quella libertà che viene da questo dialogo con il Padre, da questo dialogo con Dio. Gesù non vuole né cristiani egoisti, che seguono il proprio io, non parlano con Dio; né cristiani deboli, cristiani, che non hanno volontà, cristiani «telecomandati», incapaci di creatività, che cercano sempre di collegarsi con la volontà di un altro e non sono liberi. Gesù ci vuole liberi e questa libertà dove si fa? Si fa nel dialogo con Dio nella propria coscienza. Se un cristiano non sa parlare con Dio, non sa sentire Dio nella propria coscienza, non è libero, non è libero.
Per questo dobbiamo imparare ad ascoltare di più la nostra coscienza. Ma attenzione! Questo non significa seguire il proprio io, fare quello che mi interessa, che mi conviene, che mi piace... Non è questo! La coscienza è lo spazio interiore dell’ascolto della verità, del bene, dell’ascolto di Dio; è il luogo interiore della mia relazione con Lui, che parla al mio cuore e mi aiuta a discernere, a comprendere la strada che devo percorrere, e una volta presa la decisione, ad andare avanti, a rimanere fedele.
Noi abbiamo avuto un esempio meraviglioso di come è questo rapporto con Dio nella propria coscienza, un recente esempio meraviglioso. Il Papa Benedetto XVI ci ha dato questo grande esempio quando il Signore gli ha fatto capire, nella preghiera, quale era il passo che doveva compiere. Ha seguito, con grande senso di discernimento e coraggio, la sua coscienza, cioè la volontà di Dio che parlava al suo cuore. E questo esempio del nostro Padre fa tanto bene a tutti noi, come un esempio da seguire. ..."

Leggi il testo integrale: Angelus del 30.06.2013

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"I primi 100 giorni di Papa Francesco” (VIDEO-DOCUMENTARIO)

"I primi 100 giorni di Papa Francesco”

Il documentario “I primi 100 giorni di Papa Francesco”, prodotto per la Rai dal Centro Televisivo Vaticano, in collaborazione con Officina della comunicazione e trasmesso da Raiuno Domenica 23 Giugno 2013, alle 9.45. Il racconto dei primi passi di Papa Francesco, basato sulle immagini esclusive del CTV, è narrato dalla splendida voce di Luca Ward, già prestata a Russell Crowe ne “Il gladiatore”, Keanu Reeves in “Matrix” e Pierce Brosnan in “James Bond”. Il testo è di Alessandro Di Bussolo e la regia di Renzo Alocci, del CTV.





Omelia di don Angelo Casati nella 13ª Domenica del Tempo Ordinario

13ª Domenica del Tempo Ordinario anno C
30 giugno 2013
omelia di don Angelo Casati


1 Re 19, 16.19-21 
Sal 15
Gal 5, 1.13-18 
Lc 9, 51-62


"Mentre stavano compiendosi i giorni in cui Gesù sarebbe stato strappato a questo mondo...".
Così inizia oggi il brano del Vangelo di Luca. E per i commentatori questo versetto fa da cerniera tra l'attività di Gesù in Galilea e il viaggio verso Gerusalemme, viaggio verso la croce e la risurrezione.
Un viaggio in salita, in tutti i sensi!
Ora Gesù lo sa: è come se in lui fosse maturata una consapevolezza più lucida, un senso più chiaro: sa a che cosa va incontro. E il Vangelo dice che Gesù indurì il volto, nel senso di "tenere duro", radunare tutte le forze, in quella direzione.
E Gesù cammina. E i discepoli camminano: "Mentre andavano per la via" - è scritto -.
Questa è la figura più appropriata della fede -ogni tanto ci si interroga su che cosa sia la fede-: è un cammino, è stare sulla strada, dietro a Gesù. Purtroppo è avvenuta una riduzione, un impoverimento della fede, cioè una fede ridotta, impoverita a dottrina.
Lo avverti anche leggendo il brano conclusivo del Vangelo di Matteo, solitamente tradotto così: "Andate e ammaestrate tutte le genti". Dove "ammaestrare" è un fatto di dottrina. Ma il testo greco non dice: "ammaestrate", ma dice: "fate discepoli", che non è mettere in testa qualcosa a qualcuno, ma fare in modo che un uomo, una donna si mettano in cammino, dietro Gesù. Non per nulla i primi cristiani erano chiamati quelli della via, quelli della strada, la strada di Gesù.
Ma perché si è passati da una strada a una dottrina, dalla cura di fare dei seguaci, gente che segue, alla cura di ammaestrare?
Forse perché è più comodo, è più rassicurante, "ho delle risposte sicure e definitive".
Più scomodo, meno rassicurante è per un cristiano, per ciascuno di noi, stare sempre in cammino: e il viaggio non è mai concluso, e cristiani non si è mai finito di diventarlo. E Gesù è sempre davanti, non nelle tue formule, non nei tuoi schemi mentali, è oltre. Sta sulla strada, sta in cammino.
Questa è la fede...


sabato 29 giugno 2013

"Un cuore che ascolta - lev shomea' " - n. 26 di Santino Coppolino

Rubrica
'Un cuore che ascolta - lev shomea'

"Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)
Traccia di riflessione sul Vangelo della Domenica
di Santino Coppolino




Vangelo: Lc 9,51-62





Dopo avere messo in guardia i suoi sulle esigenze della sequela (Lc 9,23-25) e su ciò che a Lui accadrà nella Città Santa, Gesù "prese la ferma decisione (lett. indurì il suo volto) di mettersi in cammino verso Gerusalemme".(Lc 9,51)
Gesù rende il suo volto, la sua volontà dura come la roccia perchè nulla la possa scalfire, nulla lo possa distogliere dalla piena realizzazione del progetto del Padre.
Le esigenze del discepolato sono dure e non sono ammessi accomodamenti nè compromessi, non ci sono sicurezze umane, non c'è famiglia nè tradizione cui aggrapparsi. Nulla potrà separare Gesù dalla volontà e dall'amore del Padre, "nè morte nè vita...nè potenze, nè altezza, nè profondità" (Rm 8,38-39), e così sarà anche per coloro che decidono di mettere i loro piedi sulle Sue orme, poichè "Il Signore è un Dio geloso" (Dt 6,15) e non ammette mezzadrie, non vuole dividere la sua tenda in noi con i nostri idoli.
L'unica sicurezza, l'unico bastone, l'unico appoggio cui ci è consentito di aggrapparci sarà quello della croce.


FEDE E ARTE - Pietro e Saulo secondo Michelangelo

FEDE E ARTE 
Pietro e Saulo 
secondo Michelangelo

Nella Cappella Paolina si trovano i dipinti di Michelangelo 

"Conversione di Saulo"

  "Crocifissione di san Pietro"
                                                      

Affascinante introduzione alla comprensione dei capolavori di Michelangelo del prof. Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani. Estratto relativo alla "Conversione di Saulo" e alla "Crocifissione di san Pietro"

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SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO SANTA MESSA E IMPOSIZIONE DEL PALLIO AI NUOVI METROPOLITI: OMELIA E ANGELUS (testi e video)



SANTA MESSA E IMPOSIZIONE DEL PALLIO
AI NUOVI METROPOLITI

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Basilica Vaticana
Sabato, 29 giugno 2013

Signori Cardinali,
Sua Eminenza Metropolita Ioannis,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Celebriamo la Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, patroni principali della Chiesa di Roma: una festa resa ancora più gioiosa per la presenza di Vescovi da tutto mondo. Una grande ricchezza che ci fa rivivere, in un certo modo, l’evento di Pentecoste: oggi, come allora, la fede della Chiesa parla in tutte le lingue e vuole unire i popoli in un’unica famiglia.
Saluto di cuore e con gratitudine la Delegazione del Patriarcato di Costantinopoli, guidata dal Metropolita Ioannis. Ringrazio il Patriarca ecumenico Bartolomeo I per questo rinnovato gesto fraterno. Saluto i Signori Ambasciatori e le Autorità civili. Un grazie speciale al Thomanerchor, il Coro della Thomaskirche [Chiesa di San Tommaso] di Lipsia - la chiesa di Bach - che anima la Liturgia e che costituisce un’ulteriore presenza ecumenica.
Tre pensieri sul ministero petrino, guidati dal verbo “confermare”. In che cosa è chiamato a confermare il Vescovo di Roma?
1. Anzitutto, confermare nella fede. Il Vangelo parla della confessione di Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16), una confessione che non nasce da lui, ma dal Padre celeste. Ed è per questa confessione che Gesù dice: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (v. 18). Il ruolo, il servizio ecclesiale di Pietro ha il suo fondamento nella confessione di fede in Gesù, il Figlio del Dio vivente, resa possibile da una grazia donata dall’alto. Nella seconda parte del Vangelo di oggi vediamo il pericolo di pensare in modo mondano. Quando Gesù parla della sua morte e risurrezione, della strada di Dio che non corrisponde alla strada umana del potere, in Pietro riemergono la carne e il sangue: «si mise a rimproverare il Signore: …questo non ti accadrà mai» (16,22). E Gesù ha una parola dura: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo» (v. 23). Quando lasciamo prevalere i nostri pensieri, i nostri sentimenti, la logica del potere umano e non ci lasciamo istruire e guidare dalla fede, da Dio, diventiamo pietra d’inciampo. La fede in Cristo è la luce della nostra vita di cristiani e di ministri nella Chiesa!
2. Confermare nell’amore. Nella seconda Lettura abbiamo ascoltato le commoventi parole di san Paolo: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2 Tm 4,7). Di quale battaglia si tratta? Non quella delle armi umane, che purtroppo insanguina ancora il mondo; ma è la battaglia del martirio. San Paolo ha un’unica arma: il messaggio di Cristo e il dono di tutta la sua vita per Cristo e per gli altri. Ed è proprio l’esporsi in prima persona, il lasciarsi consumare per il Vangelo, il farsi tutto a tutti, senza risparmiarsi, che lo ha reso credibile e ha edificato la Chiesa. Il Vescovo di Roma è chiamato a vivere e confermare in questo amore verso Cristo e verso tutti senza distinzioni, limiti e barriere. E non solo il Vescovo di Roma: tutti voi, nuovi arcivescovi e vescovi, avete lo stesso compito: lasciarsi consumare per il Vangelo, farsi tutto a tutti. Il compito di non risparmiare, uscire di sé al servizio del santo popolo fedele di Dio.
3. Confermare nell’unità. Qui mi soffermo sul gesto che abbiamo compiuto. Il Pallio è simbolo di comunione con il Successore di Pietro, «principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione» (Conc. Ecum Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 18). E la vostra presenza oggi, cari Confratelli, è il segno che la comunione della Chiesa non significa uniformità. Il Vaticano II, riferendosi alla struttura gerarchica della Chiesa afferma che il Signore «costituì gli Apostoli a modo di collegio o gruppo stabile, a capo del quale mise Pietro, scelto di mezzo a loro» (ibid., 19). Confermare nell’unità: il Sinodo dei Vescovi, in armonia con il primato. Dobbiamo andare per questa strada della sinodalità, crescere in armonia con il servizio del primato. E continua, il Concilio: «questo Collegio, in quanto composto da molti, esprime la varietà e universalità del Popolo di Dio» (ibid., 22). Nella Chiesa la varietà, che è una grande ricchezza, si fonde sempre nell’armonia dell’unità, come un grande mosaico in cui tutte le tessere concorrono a formare l’unico grande disegno di Dio. E questo deve spingere a superare sempre ogni conflitto che ferisce il corpo della Chiesa. Uniti nelle differenze: non c’è un’altra strada cattolica per unirci. Questo è lo spirito cattolico, lo spirito cristiano: unirsi nelle differenze. Questa è la strada di Gesù! Il Pallio, se è segno della comunione con il Vescovo di Roma, con la Chiesa universale, con il Sinodo dei Vescovi, è anche un impegno per ciascuno di voi ad essere strumenti di comunione.
Confessare il Signore lasciandosi istruire da Dio; consumarsi per amore di Cristo e del suo Vangelo; essere servitori dell’unità. Queste, cari Confratelli nell’episcopato, le consegne che i Santi Apostoli Pietro e Paolo affidano a ciascuno di noi, perché siano vissute da ogni cristiano. Ci guidi e ci accompagni sempre con la sua intercessione la santa Madre di Dio: Regina degli Apostoli, prega per noi! Amen.
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ANGELUS
Piazza San Pietro
Cari fratelli e sorelle!

Oggi, 29 giugno, è la festa solenne dei Santi Pietro e Paolo. E’ in modo speciale la festa della Chiesa di Roma, fondata sul martirio di questi due Apostoli. Ma è anche una grande festa per la Chiesa universale, perché tutto il Popolo di Dio è debitore verso di loro per il dono della fede. Pietro è stato il primo a confessare che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio. Paolo ha diffuso questo annuncio nel mondo greco-romano. E la Provvidenza ha voluto che tutti e due giungessero qui a Roma e qui versassero il sangue per la fede. Per questo la Chiesa di Roma è diventata, subito, spontaneamente, il punto di riferimento per tutte le Chiese sparse nel mondo. Non per il potere dell’Impero, ma per la forza del martirio, della testimonianza resa a Cristo! In fondo, è sempre e soltanto l’amore di Cristo che genera la fede e che manda avanti la Chiesa.
Pensiamo a Pietro. Quando confessò la sua fede in Gesù, non lo fece per le sue capacità umane, ma perché era stato conquistato dalla grazia che Gesù sprigionava, dall’amore che sentiva nelle sue parole e vedeva nei suoi gesti: Gesù era l’amore di Dio in persona!
E lo stesso accadde a Paolo, anche se in modo diverso. Paolo da giovane era nemico dei cristiani, e quando Cristo Risorto lo chiamò sulla via di Damasco la sua vita fu trasformata: capì che Gesù non era morto, ma vivo, e amava anche lui, che era suo nemico! Ecco l’esperienza della misericordia, del perdono di Dio in Gesù Cristo: questa è la Buona Notizia, il Vangelo che Pietro e Paolo hanno sperimentato in se stessi e per il quale hanno dato la vita. Misericordia, perdono! Il Signore sempre ci perdona, il Signore ha misericordia, è misericordioso, ha un cuore misericordioso e ci aspetta sempre.
Cari fratelli, che gioia credere in un Dio che è tutto amore, tutto grazia! Questa è la fede che Pietro e Paolo hanno ricevuto da Cristo e hanno trasmesso alla Chiesa. Lodiamo il Signore per questi due gloriosi testimoni, e come loro lasciamoci conquistare da Cristo, dalla misericordia di Cristo.
Ricordiamo anche che Simon Pietro aveva un fratello, Andrea, che ha condiviso con lui l’esperienza della fede in Gesù. Anzi, Andrea incontrò Gesù prima di Simone, e subito ne parlò al fratello e lo portò da Gesù. Mi piace ricordarlo anche perché oggi, secondo la bella tradizione, è presente a Roma la Delegazione del Patriarcato di Costantinopoli, che ha come Patrono proprio l’Apostolo Andrea. Tutti insieme mandiamo il nostro saluto cordiale al Patriarca Bartolomeo I e preghiamo per lui e per quella Chiesa. Vi invito anche a pregare tutti insieme un’Ave Maria per il patriarca Bartolomeo I; tutti insieme: Ave o Maria…
Preghiamo anche per gli Arcivescovi Metropoliti di diverse Chiese del mondo ai quali poco fa ho consegnato il Pallio, simbolo di comunione e di unità.
Ci accompagni e ci sostenga tutti la nostra Madre amata, Maria Santissima.

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Migranti: la mentalità degli italiani sta cambiando?

Il mare calmo e la stagione estiva segnano l’inizio di nuovi sbarchi di migranti sull’isola di Lampedusa e sulle coste di Sicilia e Calabria. Si rinnova così l’esodo di uomini, donne e bambini piccoli e addirittura di neonati che vengono al mondo come profughi. Giudicati dalle nostre leggi democratiche come clandestini. Si rinnovano le tragedie dell’immigrazione. Rimbalzano sui telegiornali – ma per poco, troppo poco tempo – immagini di disperati che attendono soccorsi stando aggrappati alle reti dei tonni. Si contano i morti. Queste vittime non avranno però funerali di Stato. Saranno pianti da qualcuno, attesi non si sa da chi. Tutto sembra sospeso in una perenne ripetizione. E assuefazione.
Qualcosa tuttavia si è modificato. Forse non l’approccio generale al fenomeno (giudicato come un’emergenza da fermare con le buone o con le cattive) ma la consapevolezza di non poter andare avanti così. Occorre una sterzata in nome certo della dignità umana e dei diritti inalienabili di ogni persona, ma pure in nome di una dignità civile, politica, istituzionale.
A Lampedusa non c’è più la vicesindaco Angela Maraventano (che si definiva come la leghista più a sud d’Italia, senatrice nella precedente legislatura) a gridare ai quattro venti la presunta invasione dell’isola, invocando soluzioni definitive e drastiche che si sono poi rivelate puri proclami, a volte a sfondo razzista. Oggi invece abbraccia le vittime la sindaco Giusi Nicolini, manifestando sommessamente la realtà di un flusso tragico e continuo che trova le sue radici negli squilibri internazionali, nelle dittature, nelle guerre, nella povertà di mezzi e di futuro. Quella di Nicolini non è la sterile denuncia di un’anima bella, perché invece in questi primi anni di mandato la sindaco ambientalista ha costruito una rete di contatti volta ad affrontare in modo nuovo la situazione: recupero turistico ed ecologico dell’isola; scommessa sull’associazionismo e sul volontariato a Lampedusa; solidarietà a livello nazionale; nuova relazione con chi sbarca. Ben sapendo che il problema è europeo e globale.
Il clima generale verso l’immigrazione sta cambiando...





venerdì 28 giugno 2013

Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - Nessun "protocollo" d’azione di Dio nella nostra vita - (video e testo)

S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano 
28 giugno 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.

Papa Francesco: "Il Signore prende il suo tempo e ci aspetta"

Il Signore ci chiede di essere pazienti e irreprensibili, camminando sempre alla sua presenza. E’ quanto affermato, stamani, da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che il Signore sceglie sempre il suo modo per entrare nella nostra vita e questo richiede pazienza da parte nostra, perché non sempre si fa vedere da noi. 

Il Signore entra lentamente nella vita di Abramo, ha 99 anni quando gli promette un figlio. Entra invece subito nella vita del lebbroso: Gesù ascolta la sua preghiera, lo tocca ed ecco il miracolo. Papa Francesco ha preso spunto dalla Prima Lettura e dal Vangelo odierno per soffermarsi su come il Signore scelga di coinvolgersi “nella nostra vita, nella vita del suo popolo”. Abramo e il lebbroso. “Quando il Signore viene – ha osservato il Papa – non sempre lo fa nella stessa maniera. Non esiste un protocollo d’azione di Dio nella nostra vita”, “non esiste”. Una volta, ha aggiunto, “lo fa in una maniera, un’altra volta lo fa in un’altra maniera” ma sempre lo fa. “Sempre – ha ribadito – c’è questo incontro tra noi e il Signore”...
"Chiediamo questa grazia al Signore: camminare sempre nella sua presenza, cercando di essere irreprensibili".



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F-35 - Il Parlamento rinvia la decisione - per saperne di più...

Giornata importante ieri (ndr 26/6/2013) alla Camera. Si è votato infatti in merito alla partecipazione italiana al programma di realizzazione del cacciabombardiere Joint Strike Fighter-F35. Il risultato è stato di fatto quello di un ennesimo rinvio della decisione. La mozione della maggioranza, votata da 381 deputati, impegna però il Governo “a non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione senza che il Parlamento si sia espresso nel merito”. “E’ un primo passo, ma non è sufficiente” – commenta la campagna ‘Taglia le ali alle armi’ che aveva promosso la mozione presentata da SEL, M5S e altri parlamentari che chiedeva invece di “cancellare la partecipazione italiana al programma del caccia F-35”.
“Il Parlamento – riporta la nota della campagna – avrebbe potuto fare oggi la cosa giusta: decidere la cancellazione del programma, oppure una sospensione immediata e definita nel tempo. E avrebbe potuto decidere oggi l’istituzione di una Commissione di indagine. In questo modo avrebbe tenuto conto delle richieste avanzate da quattro anni dalla campagna ‘Taglia le ali alle armi’ e dalle migliaia di cittadine e cittadini che in questi anni hanno sostenuto le sue iniziative chiedendo che le scarse risorse a disposizione venissero impiegate per finanziare la creazione di posti di lavoro, scuole, asili e servizi sociali. Non è stato così”...



IL DIO DELLA PACE O DELLA GUERRA?: "SI VIS PACEM... PARA PACEM" e "IL DIO IN CUI NON CREDO" di Santino Coppolino

IL DIO DELLA PACE O DELLA GUERRA?

L'attuale ministro della Difesa, Mario Mauro, dopo il sì della Camera alla mozione della maggioranza sull'acquisto dei nuovi caccia F35, così ha esordito: "Il Parlamento ha compreso che per AMARE LA PACE, in alcune circostanze già fissate dalla Costituzione, NON BISOGNA ESITARE AD ARMARE LA PACE



SI VIS PACEM... PARA PACEM
di Santino Coppolino


SI VIS PACEM PARA BELLUM - SE VUOI LA PACE PREPARA LA GUERRA.
E' una delle frasi più memorabili e famose sulla necessità di prepararsi alla guerra, ricavata dal Prologo del III Libro dell'Epitoma rei militaris-L'Arte della guerra, di Publio Flavio Vegezio, autore latino del V sec. d.C. Credo che a quest'opera si sia ispirato il Ministro della Difesa Mario Mauro quando in Parlamento, dopo il sì
della Camera alla mozione della maggioranza sull'acquisto dei nuovi caccia F35, così ha esordito: 
"Il Parlamento ha compreso che per AMARE LA PACE, in alcune circostanze già fissate dalla Costituzione, NON BISOGNA ESITARE AD ARMARE LA PACE".
Ma chi è il Ministro Mauro ?
Mario Mauro nasce in terra di Puglia, a San Giovanni Rotondo, nel 1961.
Si laurea in Filosofia presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore dove studia nel Collegio Augustinianum. Nel 1999 viene eletto al Parlamento Europeo nelle fila di Forza Italia e così nel 2004. Nel 2009 viene rieletto nella lista del Popolo delle Libertà. Attualmente è Senatore della XVII Legislatura eletto con Scelta Civica e dal 28 Aprile 2013 è Ministro della Difesa del governo Letta.
Fin da giovane è membro del Movimento Cattolico fondato da Don Giussani "Comunione e Liberazione", "Movimento ecclesiale il cui scopo è l'educazione cristiana dei propri aderenti per collaborare alla missione della Chiesa in tutti gli ambiti della società", come recita la definizione di CL tratta dal sito ufficiale del Movimento.
Ora le cose sono 2 : o don Giussani è stato un guerrafondaio e non un uomo di pace -cosa di cui dubito- oppure il Ministro Mauro è stato un cattivo allievo e non ha compreso bene cosa significhi collaborare alla missione della Chiesa. "La Chiesa è in Cristo Sacramento, segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano", così ci dice il Concilio Vaticano II nella Costituzione "Lumen Gentium", l'intimità con Dio avviene nella ricerca dell'unità di TUTTO il genere umano. TUTTO caro Ministro, non solo degli amici, o degli amici degli amici ma di T U T T O. E come fa allora ad accordare la collaborazione alla missione della Chiesa con l'approvazione dell'acquisto di strumenti di morte quali sono gli F35 ?
Vorrei che la Vostra Eccellenza Illustrissima mi spiegasse cosa ha in comune con il Vangelo della Pace di Gesù, che Lei ha promesso di custodire e servire come credente, con scelte che nulla hanno a che spartire con la giustizia e la pace che il Nazareno ci ha consegnato nel Suo testamento: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace, non come la dà il mondo io la do a voi" . LA PACE è foriera di vita e non le armi, che generano distruzione, dolore e morte. "Questi aerei serviranno solo a sostituire quelli ormai troppo vecchi destinati ad andare in pensione, non sono nell'ottica di una esibizione muscolare".
Così continua il suo intervento alla Camera che non esito a definire diabolico, ed allora desidero augurarle 2 cose:
1) Spero che prima o poi il Signore le faccia la grazia di attivarle l'unico muscolo che le si è atrofizzato - IL CUORE - perché possa comprendere il senso Evangelico della PACE.
2) Se questo risulterà impossibile, allora spero che ad andare IN PENSIONE sia lei.


Foto: 24Live
L'11 giugno 2013 si sono tenuti a Barcellona P.G. (ME), nella Basilica di S. Sebastiano, i funerali del Maggiore Giuseppe La Rosa, ucciso in Afghanistan.


IL DIO IN CUI NON CREDO
di Santino Coppolino

"A TE, ETERNO IDDIO, SIGNORE DELLA PACE E DELLA GUERRA, NOI BERSAGLIERI DI LAMARMORA INNALZIAMO LA NOSTRA PREGHIERA".
E' l'inizio della preghiera letta da un bersagliere il giorno del funerale del Maggiore La Rosa nella Basilica stracolma di San Sebastiano. E poi di seguito ancora benedizioni alle armi, ovviamente italiane, e "che la terra tremi sotto il nostro piede veloce". 
Non che mi aspettassi altro da parte dei militari (fanno il loro mestiere), ma che la Chiesa -nelle persone del nostro Arcivescovo e dei tanti presbiteri presenti- rimanesse in complice silenzio, questo ha dell'incredibile, è inammissibile tacere di fronte a tale bestemmia, "non possiamo essere cani muti di fronte all'ingiustizia e alla menzogna", come direbbe il Beato Charles de Foucauld. Il Signore è soltanto il Dio della Pace e mai della guerra. Ed allora faccio mia l'indignazione di quanti credono in un Dio diverso, in un Dio-Altro, nel Dio di Gesù Cristo, e vi trasmetto una riflessione tratta liberamente da uno scritto di don Farinella, prete di frontiera.

IO NON CREDO nel dio dell'identità nazionale e/o Europea.
IO NON CREDO nel dio della(in-)civiltà occidentale produttrice di armi.
IO NON CREDO nel dio dei guerrafondai.
IO NON CREDO nel dio di ogni terrorismo.
IO NON CREDO nel dio dei politicanti corrotti, corruttori e amorali.
IO NON CREDO nel dio delle guerre tra le religioni.
IO NON CREDO nel dio invocato dai cappellani militari prima di ogni azione di guerra.
IO NON CREDO nel dio dei militari armati per "esportare la democrazia" nei paesi altrui.
IO NON CREDO nel dio di coloro che benedicono le armi.
IO NON CREDO nel dio di coloro che torturano e uccidono nel Suo nome.
IO NON CREDO nel dio dei fondamentalisti di qualunque religione e cultura.
IO NON CREDO nel dio delle gerarchie religiose che tacciono perché colluse col potere.
IO NON CREDO nelle liturgie pagane con porpora e bisso che rinnega il Dio dei poveri.
IO NON CREDO nel dio di chi si siede alla mensa dei potenti e diserta quella dei poveri.
IO NON CREDO nel dio in qualunque modo e da chiunque invocato per giustificare guerre e violenza.

CREDO nel Dio di Gesù Messia, figlio di Dio e dell'Uomo, ultimo fra gli ultimi.
CREDO nel Dio povero, nudo, forestiero e crocifisso, Dio dei poveri, dei forestieri, dei nudi, dei crocifissi.
CREDO nel Dio degli oppressi di ogni popolo e nazione.
CREDO nel Dio dei non-violenti che subiscono violenza piuttosto che usarla.
CREDO nel Dio che rifiuta il tempio, la religione, il potere come strumenti di oppressione.
CREDO nel Dio del Cielo e della Terra senza patria e nazione.
CREDO nel Dio dei Costruttori di Pace delle Beatitudini.
CREDO nel Dio che perdona i suoi crocifissori.
CREDO nel Dio che consola gli afflitti, ama gli stranieri e predilige gli esclusi.
CREDO nel Dio che sta dalla parte di ogni bambino violato.
CREDO nel Dio presente in ogni cuore che ama.
CREDO nel Dio che ci giudicherà solo sull'Amore.

Shalom.


giovedì 27 giugno 2013

Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - cristiani di parole e cristiani di azione - (video e testo)

S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano 
27 giugno 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.

Papa Francesco: "No ai cristiani senza Cristo".

Ci sono persone che “si mascherano da cristiani” e peccano o di eccessiva superficialità o di troppa rigidità, dimenticando che un vero cristiano è un uomo della gioia che poggia la fede sulla roccia di Cristo. È stato questo il pensiero di fondo di Papa Francesco alla Messa di stamattina in Casa S. Marta.

Rigidi e tristi. O allegri ma senza avere idea della gioia cristiana. Sono due “case”, in certo modo opposte, in cui abitano due categorie di credenti e che in entrambi casi hanno un difetto grave: si fondano su un cristianesimo fatto di parole e non si basano sulla “roccia” della Parola di Cristo. Papa Francesco individua questo duplice gruppo commentando il Vangelo di Matteo del giorno, il celeberrimo brano delle case sulla sabbia e sulla roccia.
“Nella storia della Chiesa ci sono state due classi di cristiani: i cristiani di parole – quelli “Signore, Signore, Signore” – e i cristiani di azione, in verità. Sempre c’è stata la tentazione di vivere il nostro cristianesimo fuori della roccia che è Cristo. L’unico che ci dà la libertà per dire ‘Padre’ a Dio è Cristo o la roccia. E’ l’unico che ci sostiene nei momenti difficili, no? Come dice Gesù: cade la pioggia, straripano i fiumi, soffiano i venti, ma quando è la roccia è sicurezza, quando sono le parole, le parole volano, non servono. Ma è la tentazione di questi cristiani di parole, di un cristianesimo senza Gesù, un cristianesimo senza Cristo. E questo è accaduto e accade oggi nella Chiesa: essere cristiani senza Cristo”...
“I primi hanno una certa ‘allegria’ superficiale. Gli altri vivono in una continua veglia funebre, ma non sanno cosa sia la gioia cristiana. Non sanno godere la vita che Gesù ci dà, perché non sanno parlare con Gesù. Non si sentono su Gesù, con quella fermezza che dà la presenza di Gesù. E non solo non hanno gioia: non hanno libertà. Questi sono schiavi della superficialità, di questa vita diffusa, e questi sono schiavi della rigidità, non sono liberi. Nella loro vita, lo Spirito Santo non trova posto. E’ lo Spirito che ci dà la libertà! Il Signore oggi ci invita a costruire la nostra vita cristiana su Lui, la roccia, quello che ci dà la libertà, quello che ci invia lo Spirito, quello che ti fa andare avanti con la gioia, nel suo cammino, nelle sue proposte”.


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"Sulle sedie vuote di questi giorni..." di Roberto Beretta


Sulle sedie vuote di questi giorni...
di Roberto Beretta 

Sì, qualche volta bisogna proprio andarsene, lasciar vuota la sedia, sfuggire alle gabbie gentili di chi vuol mantenere lo status quo

Ci sono due sedie vuote nelle cronache di questi giorni, ritratte anche figurativamente sulle pagine dei giornali. Una è il seggiolino d'aereo lasciato vuoto da Edward Snowden, il giovane informatico che ha rivelato agli americani di essere spiati e intercettati ogni momento e che doveva imbarcarsi a Mosca su un volo per sfuggire agli agenti della Cia, bramosi soltanto di mettergli le mani addosso. La seconda è la poltrona bianca disertata da papa Francesco all'ormai famoso concerto vaticano di Beethoven.
«Si parva licet componere magnis», dicevano gli antichi: se possiamo paragonare tra loro cose grandi e altre più piccole... (Ma quali sono grandi e quali piccine, in questi due casi?). Il parallelo mi è venuto in mente anche perché mi sembra comunque di vedere nelle due vicende -­ diversissime tra loro, è evidente ­- una medesima lotta del singolo contro il «potere»: Snowden quello della democrazia più grande del mondo, che però ci ha abituato da decenni alle ipocrisie e agli abusi sui quali si regge; Bergoglio nei confronti di un apparato curiale e burocratico che incombe come un soffocante moloch sopra il desiderio di molti di una Chiesa «diversa»...

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mercoledì 26 giugno 2013

Giornata mondiale a sostegno delle vittime di tortura

Mettiamo la parola fine alla tortura nel mondo, sosteniamo e assistiamo tutti coloro che l’hanno subita e sollecitiamo affinché i paesi provvedano a riparare quanto sopportato dalle vittime. E’ la sintesi del messaggio che il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon ha inviato in occasione dell’odierna Giornata a sostegno delle vittime di tortura, aberrante pratica distribuita ad oggi in 112 Paesi del mondo, ben 11 in più dello scorso anno, come indicato da Amnesty International. Le vittime, chiunque esse siano, bambini donne o uomini, restano marchiate da ferite e traumi indelebili, annichilite dalla perdita della loro identità sociale, politica e culturale. 
La tortura si pratica in molti Paesi preda di conflitti, ma si insinua anche nelle pieghe più nascoste delle nazioni più democratiche. Si pensi all’Italia che non ha ancora introdotto la tortura come reato specifico del suo codice penale, una grave mancanza giuridica che continua da tempo ad essere denunciata dalle associazioni che si battono per la difesa dei diritti umani. Tra queste vi è il Cir, Consiglio Italiano per i Rifugiati, che dal 1996 gestisce progetti mirati alla riabilitazione dei sopravvissuti alla tortura. Un rifugiato su tre di coloro che arrivano in Italia ha subito esperienza di tortura. E fino ad oggi il Cir ha assistito circa tremila persone. Fiorella Rathaus, responsabile dei progetti Cir diretti alle vittime di tortura:
Ascolta il servizio di Francesca Sabatinelli per Radio Vaticana: Giornata contro la tortura: si pratica in oltre 110 Paesi (audio)

Nella Giornata internazionale a sostegno delle vittime di tortura, stride ancor di più il vuoto legislativo del nostro Paese: il codice penale italiano non prevede ancora il reato di tortura

... Nella Giornata internazionale a sostegno delle vittime di tortura, che cade il 26 giugno, il caso dell'Italia è emblematico. Nel 2013 il nostro Paese non ha ancora introdotto la tortura come reato specifico previsto nel Codice penale, nonostante l'obbligo direttamente derivante dalle Convezioni internazionali. Violenza esercitata volontariamente da uomini su altri uomini, di questo si tratta quando si parla di tortura.
In Italia il problema della tortura è evidentemente (o volutamente) sottovalutato, e troppo spesso è ancora avvolto da un silenzio che infierisce ulteriormente su chi della tortura è stato vittima. E solo terribili episodi di cronaca nera, come i recenti casi Cucchi e Uva o le violenze nella scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova nel 2001, portano il tema all'attenzione dell'opinione pubblica. 
E se un trattamento inumano e degradante si qualifica come tortura, come si può chiamare il trattamento a cui sono sottoposti migliaia di detenuti in Italia? Inoltre, la tortura è un tema di strettissima attualità, anche da un altro punto di vista: per esempio un rifugiato su tre, fra quelli che arrivano in Italia, ha personalmente subito esperienze di tortura. Spesso, proprio per sfuggire a persecuzioni disumane nel loro Paese, uomini e donne hanno intrapreso un viaggio senza certezze e proprio a causa delle torture subite ricevono lo status di rifugiati quando sono in esilio.
Tortura quindi non è solo violenza fisica. Anzi, spesso sono altre le ferite più profonde e le più difficili da rimarginare: la perdita dell'identità familiare, legale, economica, politica, culturale, sociale. La perdita della dignità personale...

Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - la gioia di dare la vita - (video e testo)

S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano 
26 giugno 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.

Papa Francesco: Il sacerdote sia un padre spirituale.

Dio vuole che i sacerdoti vivano con pienezza una speciale grazia di “paternità”: quella spirituale nei riguardi delle persone loro affidate. Lo ha affermato Papa Francesco nella Messa di questa mattina, presieduta nella cappella di Casa S. Marta. Con il Pontefice erano presenti prelati e sacerdoti che accompagnavano il cardinale arcivescovo emerito di Palermo, Salvatore De Giorgi, che oggi celebra il 60.mo anniversario di ordinazione sacerdotale, circostanza alla quale il Papa ha fatto cenno con parole di grande stima all’omelia, per poi ritornarvi più tardi all'udienza generale.

La “voglia di paternità” è iscritta nelle fibre più profonde di un uomo. E un sacerdote, ha affermato Papa Francesco, non fa eccezione, pur essendo il suo desiderio orientato e vissuto in modo particolare:
“Quando un uomo non ha questa voglia, qualcosa manca, in quest’uomo. Qualcosa non va. Tutti noi, per essere, per diventare pieni, per essere maturi, dobbiamo sentire la gioia della paternità: anche noi celibi. La paternità è dare vita agli altri, dare vita, dare vita… Per noi, sarà la paternità pastorale, la paternità spirituale: ma è dare vita, diventare padri”.
Lo spunto di riflessione è offerto a Papa Francesco dal brano della Genesi di oggi, nel quale Dio promette al vecchio Abramo la gioia di un figlio, assieme a una discendenza fitta come le stelle del cielo.


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"Vita eterna: la gloria della nostra carne" di Enzo Bianchi


Vita eterna: 
la gloria della nostra carne
di Enzo Bianchi

Sembra che la resurrezione della carne, la resurrezione dei nostri corpi, sia l’elemento più strano che la fede cristiana chiede di credere. Non a caso, dalle analisi sociologiche condotte sulla fede degli italiani risulta che, se la maggior parte della popolazione crede in Dio, neanche il 20% crede nella resurrezione della carne. Occorrerebbe domandarsi che qualità cristiana ha questa fede, che in verità sembra piuttosto una certa credenza in un Dio, in un essere superiore, credenza neppure degna di essere classificata come teista. Eppure ogni domenica nella professione di fede che i cattolici fanno all’interno della celebrazione eucaristica si confessa: “Credo la resurrezione della carne, la vita eterna” (Simbolo apostolico), oppure: “Aspetto la resurrezione dei morti” (Simbolo niceno-costantinopolitano)…
Quando poi si ascoltano i pensieri dei cristiani sull’aldilà, sovente si resta imbarazzati sentendoli parlare di reincarnazione (espressione sconosciuta fino a un secolo fa e introdotta con il fenomeno dello spiritismo), come se questo fosse il vero desiderio che li abita: vivere altre vite, altre esperienze. È questo un modo per rimuovere la verità della morte, oppure è un sogno di immortalità? Questi cristiani che spesso pensano la reincarnazione come una credenza religiosa orientale non sanno, tra l’altro, che nell’induismo e nel buddhismo la reincarnazione significa una condanna, perché la salvezza si attua proprio attraverso una lunga disciplina durante la vita, la quale permette di uscire dal ciclo delle reincarnazioni che rappresentano sempre un fallimento! Questi cristiani si ispirano forse alla migrazione delle anime, concepita da Platone all’interno di un’ideologia dualista secondo cui l’essere umano sarebbe composto di un elemento immortale, l’anima, e di uno corruttibile, il corpo? 
Certamente i novissimi, le realtà ultime, cioè morte, giudizio, inferno e paradiso, non sono molto presenti nella predicazione e nella catechesi, e per questo si fa urgente la riproposizione di questi temi essenziali per la fede cristiana, anche per impedire derive spiritualiste e devote, che rispondono alle curiosità e non agli autentici bisogni di fede dei cristiani. La fede nella resurrezione della carne è il cuore della fede cristiana, perché indissolubilmente legata alla fede nella resurrezione di Gesù Cristo. Già l’Apostolo Paolo, di fronte alle difficoltà mostrate a questo riguardo dai primi cristiani provenienti dal mondo greco, asseriva con forza: “Se i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede … Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini” (1Cor 15,16-17.19). 
Di fronte a questa fede dei cristiani, la critica di chi non crede può anche essere feroce: il credere alla resurrezione sarebbe soltanto un artificio per negare la realtà della morte; sarebbe soprattutto, per gli spiriti deboli, un modo di raggiungere nell’aldilà ciò che non hanno saputo essere nell’al di qua; sarebbe una preoccupazione egocentrica, una non accettazione del fatto che nel mondo tutto nasce, cresce e muore. Oppure sarebbe una forma di rassegnazione, una via per evadere dal duro mestiere di vivere, mettendo la speranza solo nell’aldilà… Queste critiche dovrebbero essere prese sul serio, dovrebbero stimolarci a un esame approfondito della nostra fede e del modo in cui la presentiamo. Perché sovente la nostra attuale non-fede nelle verità cristiane essenziali dipende anche dal modo in cui per secoli sono state presentate: a volte dando a Dio un volto perverso, a volte immaginando una giustizia di Dio secondo i nostri sentimenti, a volte finendo per disprezzare questo mondo, la vita terrestre, e generando nel cuore dei credenti paura e angoscia, invece che fiducia e franchezza...



martedì 25 giugno 2013

Alessandro D'Avenia, Massimo Gramellini e "il segreto dei bambini"

Nell’atrio della mia scuola alla fine dell’anno è apparso un albero, con il tronco e i rami di compensato e le foglie di carta multicolore. In cima all’albero è scritto: «Felicità è...». In ogni foglia è contenuta la risposta di un bambino della scuola materna. 
Mi sono fermato a leggere una per una quelle foglie, quasi fosse il responso nell’antro della Sibilla cumana. E ho scoperto che la felicità per i bambini non solo è semplicissima, ma è soltanto relazionale. Tutte le foglie sono dedicate ad altri: familiari e amici. Nessuno di quei bimbi è felice da solo. Le foglie sono, per la maggior parte, dedicate ai genitori, ai padri in particolare: felicità è «quando papà mi gonfia un palloncino e giochiamo insieme», «quando papà mi fa il solletico». Felicità è: padri che giocano con i figli. 
Mi sono reso conto che la mia felicità non era all’altezza di quella di quei bambini...
Leggi tutto: Semplicissima felicità di Alessandro D'Avenia

Il lettore M. di Alessandria ha un figlio di due anni e mezzo che, appena incrocia una persona per strada, le getta la voce al collo: «Ciao ciao signore!», «Ciao ciao signora!». Poi si ferma ad aspettare dallo sconosciuto un cenno che lo rassicuri sul fatto di essere considerato con analoga attenzione. Il quartiere dove M. passeggia con suo figlio è frequentato da una fauna variopinta e stratificata: puoi trovarvi la donna col chador e l’indigeno anziano che rimembra ancora di quando i Grigi dell’Alessandria sconfissero per due a zero il Grande Torino (era il 1947). Ma per il piccolo inesausto salutatore non esistono differenze. Alla donna col chador e all’indigeno anziano affida lo stesso «ciao ciao» ecumenico, da non confondersi col «ciaociao» nevrotico che gli adulti sputano nei loro telefonini al termine di una conversazione. 
M. contempla il mondo con gli occhi di suo figlio e pensa al giorno, ormai prossimo, in cui l’incanto finirà...
Leggi tutto: Ciao ciao signore! di Massimo Gramellini