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sabato 2 marzo 2013

Il Cortile del dialogo e il Dio sconosciuto: intervista al cardinal Ravasi

Il Cortile dei gentili compie due anni (il primo incontro si svolse a Parigi il 24-25 marzo 2011) ed è tempo per i primi bilanci. Abbiamo allora incontrato colui che - raccogliendo l’invito di papa Benedetto XVI - ha dato al Cortile forma e sostanza: il cardinale Gianfranco Ravasi. Nato nel 1942 a Merate (Lecco), dal 1989 al 2007 è stato Prefetto della Biblioteca Ambrosiana, imponendosi nel frattempo come uno tra i biblisti più noti al mondo. Dal 2007 è presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura.

Eminenza, può riassumere brevemente l’idea di fondo che sta all’origine del Cortile dei gentili, gli obiettivi principali di questa iniziativa e il motivo per cui è stata scelta questa denominazione?

Il Cortile dei gentili nasce da un suggerimento di Benedetto XVI, con quel famoso passaggio del discorso alla Curia Romana del 21 dicembre 2009: «Penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di cortile dei gentili dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa. Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto». Io non ho fatto altro che riprendere questa idea e svilupparla, soprattutto con lo scopo di creare uno spazio d’incontro tra credenti e non credenti. 
Quanto, poi, alla scelta del «nome» risulta evidente che il Santo Padre aveva davanti a sé l’immagine del tempio di Gerusalemme, che comprendeva uno spazio denominato appunto Cortile dei gentili, in cui potevano accedere anche le «genti», i pagani, i non circoncisi, senza distinzioni di cultura, lingua o professione religiosa, un luogo di incontro e di diversità in cui si poteva ascoltare e guardare ciò che gli ebrei dicevano e compivano nello spazio sacro a loro destinato (il Cortile degli Israeliti). Ma, alla fine, le mani non potevano stringersi, come avviene, invece, nel nostro «Cortile». 
Questa soluzione di incontro è, piuttosto, un frutto maturo colto dall’albero del cristianesimo. Infatti, Cristo è rappresentato, direi quasi «sceneggiato», da Paolo (Lettera agli Efesini 2, 14-18), nell’atto di abbattere il muro di separazione esistente tra i due popoli, facendo dei due un solo popolo. Credo sia il compito principale affidatoci: ricordare che esiste una base comune infinitamente superiore alle distinzioni, pur necessarie. Siamo tenuti ad affermare l’identità delle culture e delle prospettive, senza negare la comune radice umana.