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martedì 16 ottobre 2012

Donne e Chiesa - Quella “chiesa rosa” nel Concilio - Donne: figlie di un dio minore?

Al Vaticano II parteciparono come uditrici, senza diritto di parola, 23 “madri”. Anche grazie a loro è finito il monopolio maschile nella teologia

La "Chiesa rosa" nella riforma conciliare. In apparenza il Vaticano II fu un’assise «maschilista», in realtà dopo il Concilio nulla è stato più come prima anche per l’altra metà del cielo. Le donne, come anche i laici, non parteciparono attivamente all’evento religioso più importante del XX secolo: le 23 donne ammesse ai lavori da Paolo VI, a partire dal 1964, erano uditrici senza diritto di parola. Ma la ricerca storica ha ricostruito il peso che queste donne, ammesse in aula con il velo nero in testa e che i padri sinodali chiamarono «madri», esercitarono nel sollecitare il Vaticano II a porsi problemi reali sulla condizione femminile e sui diritti delle donne. Anche per questo nella Chiesa cattolica ora esistono delle teologhe: grazie al Concilio è finito il monopolio maschile sulla teologia.
«Un momento di confronto» per «rendere ragione» del modo in cui la Chiesa Cattolica «ha saputo riconoscere nella differenza di genere un contributo di intelligenza e una riserva di entusiasmo», è stato promosso dalle teologhe italiane in occasione del 50° anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II. Il convegno, dal titolo «Teologhe rileggono il Vaticano II. Assumere una storia, preparare il futuro», si è svolto il 4 ottobre al Pontificio Ateneo Sant'Anselmo e ha visto la partecipazione di storici e teologi provenienti da tutto il mondo, tra i quali Hervè Legrand, Gerald Mannion, Maureen Sullivan, Massimo Faggioli, Tina Beattie e Mercedes Navarro Puerto.
Il 6 ottobre, all'auditorium di via della Conciliazione, si è tenuto «Tantum aurora est. Donne, Vaticano II, futuro», un momento di festa per riflettere sulla presenza delle donne nella Chiesa post-conciliare. Marinella Perroni è dottore in teologia, insegna Nuovo Testamento in una università pontificia, ha per studenti anche dei sacerdoti, è presidente del «Coordinamento teologhe italiane»(Cti). Senza il Concilio ecumenico Vaticano II una figura come la sua semplicemente non sarebbe mai esistita. 
Sta in questa constatazione il segno di una delle maggiori eredità del Concilio, al quale furono ammesse 23 “madri”. 

UNA DELLE UDITRICI AL CONCILIO 

ROSEMARY GOLDIE
Quando, in Germania, i giornalisti ebbero la prima occasione di incontrare i partecipanti alla riunione preparatoria del Concilio Vaticano II, fu la giovane teologa Josefa Theresia Münch ad attirare l’attenzione della stampa sulla discriminazione di genere nella Chiesa chiedendo, con un guizzo pertinente e provocatorio, se le donne fossero state invitate al Concilio. Il direttore del centro stampa tedesco per il Concilio rispose, a mo’ di battuta: “No, ma è confortante! Al Concilio Vaticano III le donne saranno certamente presenti!
. Le donne, invece, ci furono, al Vaticano II. Furono ventitré, meno dell’1% dei partecipanti, ammesse per la prima volta ai lavori conciliari. Dieci religiose e tredici laiche
. Furono selezionate secondo criteri di internazionalità e rappresentatività, a motivo delle loro forti personalità e capacità di influenza, per la provenienza geografica, la rappresentanza di altri riti, per storie personali...

Le donne ci furono in quella straordinaria assemblea: nelle intenzioni di papa Giovanni XXIII avrebbe dovuto promuovere un’ autentica inversione di rotta nel rapporto della Chiesa con l’umanità, ancora tramortita dal trauma dei due conflitti mondiali. “Bene, ciò dimostra che le donne fanno parte della razza umana. Metà di essa se ne stava dimenticando”, ebbe a chiosare Catherine McCarthy, uditrice proveniente dal laicato americano. Per Madre Sabine Valon, si trattò del “passaggio dalla sala d’attesa al soggiorno”, mentre nelle parole di Margarita Moyano Llerena: “le donne sempre vanno alla fine, però è importante, infine, che vadano”.
Così fu: molto importante. La loro presenza doveva essere silenziosa– “le donne tacciano in assemblea” (I Cor 14.34), fu il mantra ripetuto ad ogni tentativo di dare voce alle uditrici in sede plenaria. Le donne dovevano avere una funzione di rappresentanza “significativa ma quasi simbolica”, secondo le parole di Paolo VI. Ma le ventitrè donne non furono né silenziose né simboliche. La partecipazione al Concilio era un’occasione storica imperdibile.