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sabato 30 giugno 2012

Chiesa di frontiera - Carovana della pace 2012: il grido della Terra

Chiesa di frontiera
Carovana della pace 2012: il grido della Terra
di P. Fernando Zolli

In uno scenario di crisi sistemica e finanziaria, che scoraggia buona parte della popolazione, crea ansietà, sfiducia nel futuro e che spesso paralizza interi settori della società, ecco la proposta della Carovana Missionaria della pace che convoca all’impegno e vuole seminare speranza. Un’iniziativa nata nel 2000, con il Giubileo degli oppressi, che nel 2012 propone una nuova edizione, segno della sua efficacia e della validità delle proposte che coinvolgono molti soggetti, associazioni e gruppi di impegno sociale, civile e religioso.
Questa edizione della Carovana è promossa da Missio Giovani, dalla commissione di Giustizia e Pace degli Istituti Missionari (Cimi), dalla Rete interdiocesana Nuovi Stili di Vita, da Missio Campania e con la collaborazione di altre realtà, come la Focsiv, Pax Christi, Aifo, Suam nazionale, Banca Etica, ecc., ed ha come obiettivo l’unione di quanti credono e sostengono un cambiamento e si mettono in cammino per visitare quelle realtà o gruppi che sono già all’opera, attraverso pratiche e iniziative che rendono visibile il cambiamento, promuovono il dialogo e stimolano all’impegno personale e comunitario nei vari ambiti della convivenza sociale, civile, politica e religiosa.
La carovana è uno strumento che si rivolge soprattutto ai giovani, che attraverso il loro dinamismo, la loro forza e il loro coraggio per un futuro sostenibile colgono l’opportunità di incontrare gente, intrecciare relazioni, leggere i segni a volte non percepibili, ma che, come piccoli semi, germogliano e alimentano la speranza e il coraggio di dissodare terreni aridi e spinosi, affrontare situazioni di disagio e di degrado e spingono per una convivenza di giustizia e pace sul proprio territorio, in sinergia con altri popoli del Sud del mondo. Ecco perché la Carovana del 2012 ha come parola d’ordine “iChange”.
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Alex Zanotelli parla in sostegno della Carovana Missionaria Della Pace sul tema: il disastro ambientale

Per maggiori dettagli e per l’iscrizione di gruppi e associazioni sono disponibili le schede da compilare: www.carovanadellapace.it. Sul sito si trovano anche i sussidi, il programma della settimana, degli eventi finali a Napoli, i nomi dei testimoni locali e di altri continenti che condivideranno la loro esperienza del cambiamento, reso possibile dalla forza e dall’organizzazione che viene dal basso; proposte operative per i nuovi stili di vita e l’opportunità di intervenire in un blog e su facebook.

Quando senti il desiderio di comunicare e uscire da te stesso, guardati intorno, mettiti in cammino con gli ultimi. Quando ti impegni per la giustizia, la pace e la riconciliazione… è allora che sei in carovana.


Padri, padroni e padrini - P. Pino Puglisi sarà proclamato beato e martire di Alessandro D'Avenia

Padri, padroni e padrini 

Padre Pino Puglisi sarà proclamato beato e martire

di Alessandro D'Avenia

Non è la morte, ma la causa della morte a fare il martire. Padre Pugli­si è stato ucciso il 15 settembre 1993, il giorno del suo compleanno, proprio per­ché i fratelli Graviano, capi mafiosi del quartiere Brancaccio, già complici dei Corleonesi negli attentati a Falcone e Bor­sellino, non tolleravano che Padre Pino facesse il prete: sottraeva consenso ai pa­drini della terra e lo indirizzava al Padre celeste. Palermo è una città in cui le pa­role purtroppo hanno spesso il massimo della loro estensione possibile: si pensi a parole come “famiglia”, “onore”, “padre”.

 Ogni parola importante, come ci ha in­segnato Dante, si estende dall’Inferno al Paradiso in un crescendo che va dall’or­rore del ribaltamento della parola stessa, al suo pieno compimento. Basti pensare alla parola ‘padre’, che nella Commedia troviamo nel dannato più dannato di tut­ti, per questo più in fondo di tutti: Ugoli­no, un padre che muore con i suoi figli, o meglio un padre che dà la morte ai suoi figli. Egli, causa della loro reclusione nel­la torre da parte del vescovo Ruggeri (al­tro padre che ha sovvertito il suo ruolo ed è condannato con Ugolino in un ban­chetto cannibalistico), invocato dai suoi figli che chiedono pane, tace: non ha pa­ne, né parole. I figli, sopraffatti dal dolo­re del padre, arriveranno a chiedergli di cibarsi dei loro corpi, dal momento che è lui ad avere donato la carne di cui sono fatti, quella carne gli ap­partiene. I figli vorrebbe­ro dare la vita al padre, invertendo l’ordine na­turale delle cose. Trage­dia della paternità è quella di Ugolino: un pa­dre che sovverte la sua paternità e finisce con il divorare – lasciando in­tatta l’ambiguità dell’ef­fettivo banchetto filiale – le carni dei suoi figli. È un padre che invece di dare la vita la toglie, è un pa­dre che invece di rende­re liberi, imprigiona; è un padre che invece di par­lare, tace; è un padre che invece di imbandire la tavola con il pane, banchetta con le carni dei figli. Non è un padre, ma un padrone carnefice, come i padrini. ...

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venerdì 29 giugno 2012

"Il nostro amore speciale": il ricordo di Chiara Corbella nelle parole del marito Enrico Petrillo

“Vado in cielo ad occuparmi di Maria e Davide, e tu rimani con il papà. Io da lì prego per voi”. E’ questa una frase che Chiara Corbella, una giovane ragazza romana di 28 anni, ha scritto al figlio Francesco prima di morire, una settimana fa, per un tumore scoperto al quinto mese di gravidanza. Una maternità affrontata con forza dopo la scelta di rimandare le cure alla nascita del bambino. Era la terza gravidanza di Chiara: Maria e Davide erano scomparsi poco dopo il parto. Entrambi erano nati con gravi malformazioni. “I nostri cuori innamorati sulla Croce”: così ha detto Enrico Petrillo, il marito di Chiara che al microfono di Benedetta Capelli ha voluto dare la sua testimonianza: (per ascoltare l'audio clicca qui)

R. – Vivere con mia moglie, con Chiara, sia nel fidanzamento sia da sposati, è stato bellissimo. Abbiamo avuto una vita veramente piena. Io non so bene come definirla… Anche attraverso le vite dei nostri figli abbiamo scoperto che la vita, trenta minuti o cent’anni, non c’è molta differenza. Ed è stato sempre meraviglioso scoprire questo amore più grande ogni volta che affrontavamo un problema, un dramma. In realtà, noi nella fede vedevamo che dietro a questo si nascondeva una grazia più grande del Signore. E quindi, ci innamoravamo ogni volta di più di noi e di Gesù. Questo amore non ci aveva mai deluso e quindi, ogni volta, non perdevamo tempo, anche se tutti intorno a noi ci dicevano: "Aspettate, non abbiate fretta di fare un altro figlio”. Invece noi dicevamo: “Ma perché dobbiamo aspettare?”. Quindi, abbiamo vissuto questo amore più forte della morte. La grazia che ci ha dato il Signore è stata di non aver messo paletti, barriere alla sua grazia. Abbiamo detto questo “sì”, ci siamo aggrappati a lui con tutte le nostre forze, anche perché quello che ci chiedeva era sicuramente più grande di noi. E allora, avendo questa consapevolezza sapevamo che da soli non avremmo potuto farcela, ma con Lui sì... 

Da oggi è attivo anche il link "ufficiale" www.chiaracorbella.it

Chi é mafioso non é cristiano! - Don Pino Puglisi sarà beato perchè ucciso "in odio alla fede"!

Padre Pino Puglisi, ucciso dalla mafia a Brancaccio, sarà beato. 
E' arrivato l'annuncio ufficiale.

Il cardinale Romeo: "E' un giorno di grande gioia"; don Maurizio Francoforte, parroco di Brancaccio: "Abbiamo fatto suonare le campane a festa"; don Giovanni Bertolino: "Per noi giovani preti don Pino rappresenta un esempio, uno stimolo"; don Fulvio Iervolino: "Siamo senza parole non perchè non ce l'aspettavamo, ma perché è una bella notizia"; mons. Carmelo Culitta, vescovo ausiliare di Palermo: "Si apre una prospettiva che il credente che annunzia il Vangelo e lo vive con autenticità può andare incontro anche alla morte"

Sarà beatificato don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993. Benedetto XVI ha infatti riconosciuto il fatto che l'esecuzione ordinata dai boss e avvenuta davanti alla parrocchia di San Gaetano, retta dal sacerdote, nel quartiere Brancaccio di Palermo, fu "in odio alla fede". Questo esonera ora dalla necessità di provare un miracolo compiuto con l'intercessione del servo di Dio. 
Il riconoscimento del martirio, che il Papa ha decretato oggi nell'udienza al prefetto per le Cause dei santi card. Angelo Amato, indica che la causa di beatificazione si è conclusa positivamente e che presto don Puglisi sarà elevato all'onore degli altari. 


La notizia che padre Pino Puglisi, il parroco di Brancaccio ucciso dician­nove anni fa dalla mafia, sarà proclamato beato, non è soltanto un motivo di grande gioia per tutto il popolo cristia­no, in particolare per quello siciliano, ma acquista un profondo significato teologico e pastorale, che vale la pena di sot­tolineare...
Con la sua dichiarazione che don Pugli­si è stato ucciso «in odio alla fede», la Chiesa ha smascherato il falso dualismo tra impegno per Dio e impegno per gli uomini e additato un modello di pastore che, per amore del primo, porta agli altri la salvezza uscendo dal recinto del tempio e di un ritualismo autoreferenziale, immergendosi nella concretezza di una data storia e di una data società. Come ha fatto don Pino Puglisi, attiran­dosi l’implacabile ostilità di tutti coloro che, odiando Dio, odiano anche l’uomo.

Leggi tutto: Don Pino prete vero

In una nota don Luigi Ciotti, presidente di Libera commenta la notizia della beatificazione di Padre Puglisi. 
"Mori' per strada, dove viveva, dove incontrava i "piccoli", gli adulti, gli anziani, quanti avevano bisogno di aiuto e quanti, con la propria condotta, si rendevano responsabili di illegalità, soprusi e violenze. Probabilmente per questo lo hanno ucciso: perché un modo cosi' radicale di abitare la strada e di esercitare il ministero del parroco e' scomodo. Lo hanno ucciso nell'illusione di spegnere una presenza fatta di ascolto, di denuncia, di condivisione. Quel modello di prete che la mafia voleva cacciare in Sagrestia viene oggi ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa come massima fedeltà al Vangelo. La speranza che suscita oggi padre Puglisi è il dare dignità a tutti coloro che costruiscono nella chiesa catechesi e evangelizzazione a partire dalla strada , dai poveri , dagli ultimi." 

Puglisi: così parlò il suo killer

Salvatore Grigoli, assassino di don Puglisi
(foto Alessandro Tosatto)
 
La vita di un giovane mafioso cresciuto nel quartiere dominato da Cosa nostra, i rapporti coi boss, il delitto, il pentimento. 
La sconvolgente testimonianza.
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«Gli sparai, lui sorrise»
Don Treppì e il suo assassino

Enzo Bianchi, Luigi Ciotti, Ernesto Olivero: "MICHELE PELLEGRINO Padre della Chiesa padre della città"

Tre voci per ricordare l'arcivescovo che ha guidato la Chiesa di Torino negli anni inquieti del postconcilio, a 25 anni dalla sua morte e a 40 dalla pubblicazione della lettera pastorale "Camminare insieme". I contributi dei tre autori si fondono in un ritratto veritiero. Il priore di Bose, E. Bianchi, ci introduce nella dimensione umana e culturale del porporato; don Ciotti ne declina la figura di vescovo attento e partecipe dei problemi della città di Torino; il fondatore del Sermig, E. Olivero, ci descrive l'uomo della preghiera e della sofferenza. Un libretto agile per fare memoria di un pastore straordinario. (BS - Fonte: Settimana, n°24 -17 giugno 2012)

 Proponiamo la presentazione del libro del prof. Franco Garelli, che ne ha curato la prefazione.
«Uno spiraglio di luce sulla situazione sociale ed ecclesiale di quel tempo»; «ha insegnato non solo con l’autorevolezza del suo magistero, ma anche con la vita»; «è stato un Vescovo mai fuori dalla mischia»: ecco tre flash che ci ricordano padre Michele Pellegrino, il docente di patristica chiamato da Paolo VI a presiedere la Diocesi di Torino in uno dei periodi più travagliati della nostra storia, gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, segnati dall’immediato post Concilio Vaticano II e dalle lotte studentesche e operaie.
A offrire un profilo di questo Vescovo straordinario (a 25 anni dalla sua morte, a 40 dalla «Camminare Insieme») sono tre testimoni che hanno vissuto quell’epoca ruggente da giovani, diventati – col passare degli anni e in ambiti diversi – dei punti di riferimento a livello nazionale, chi nel campo della spiritualità e della vita monastica (Enzo Bianchi), chi nella lotta contro le nuove povertà e la mafia (don Gigi Ciotti), chi nel richiamare i giovani all’impegno per la pace e la solidarietà (Ernesto Olivero). Si tratta di figure carismatiche assai diverse tra di loro, per sensibilità, cultura e ambiti di competenza; accomunate tuttavia dall’avere incontrato a suo tempo un Padre che li ha riconosciuti e confermati nelle loro intuizioni e ideali giovanili; per cui a distanza di anni, a fronte di ciò che oggi rappresentano per la Chiesa e la società, essi sentono il bisogno di fare memoria di quel Vescovo che ha accompagnato e sorretto il loro «stato nascente». Così, il profilo di padre Pellegrino che emerge da questi ricordi è denso di affetti e di convergenze.
Leggi tutto: Il Padre in dialogo

Non si può tracciare il profilo di Michele Pellegrino senza menzionare la sua competenza storica, filologica e teologica in ambito patristico, acquisita alla Cattolica di Milano e proseguita nella ricerca e poi, dal 1938, nell’insegnamento a Torino. L’apologetica greca e latina dei primi secoli, la poesia cristiana antica, la letteratura del martirio e infine la costante «frequentazione» di Agostino non rappresentano solo l’itinerario scientifico di Pellegrino, ma sono le fonti che, assieme alle Sante Scritture, hanno plasmato la sua spiritualità cristiana. L’attenzione alla pacatezza del dialogo intessuto dai cristiani con la sapienza pagana porrà i fondamenti per quel suo atteggiamento di apertura e di ascolto al mondo, per quella disponibilità al dialogo con la cultura della società, per quella sympatheiacon quanto gli uomini a fatica cercano di realizzare in vista di una terra più abitabile e di una polis più umanizzata.
Leggi tutto: Tra martiri e profeti

Comincia a essere vecchio don Luigi Ciotti, comincia a essere un testimone.
Del tempo, dei fatti, dei segni e degli uomini. Come di un «padre della Chiesa», il «Padre» per antonomasia di don Luigi, quell'arcivescovoe cardinale Michele Pellegrino che, l'11 novembre 1972, lo ordinò prete e gli affidò una stranissima parrocchia, mai vista: «La strada. Da oggi, disse, coloro che soffrono in strada saranno i tuoi parrocchiani».
Leggi tutto: Don Ciotti ricorda Pellegrino l'arcivescovo" tonaca rossa"

Don Luigi Ciotti ricorda il grande arcivescovo di Torino, padre Michele Pellegrino, intellettuale che scese dalla cattedra nell'ansia di portare la Chiesa più vicina ai poveri. 
Leggi tutto: CON NOI SULLA STRADA


Ernesto Olivero, a nome di tutto il Sermig, lo ricordava così dalle pagine del mensile Progetto, novembre 1986: 
Carissimo Padre, grazie di averci voluto bene! La tua saggezza ci ha fatto crescere nell’ascolto dei segni dei tempi, nel sentirci parte del grande respiro che è la Chiesa di tutti i tempi, nell’ascolto della Parola, nella ricerca della giustizia e nell’amore ai poveri. Ci hai insegnato a camminare insieme con tutti gli uomini. A te, caro Padre, dobbiamo la Casa della Speranza (Arsenale della Pace n.d.r.), il lavoro che cerchiamo di fare su noi stessi per essere trasparenza di Dio e profondamente carichi di umanità. 


Ernesto Olivero racconta Monsignor Michele Pellegrino



Per saperne di più:

giovedì 28 giugno 2012

"Giulio Girardi e il messaggio della teologia della liberazione" la relazione di P.Alex Zanotelli

"Giulio Girardi e
 il messaggio della teologia della liberazione"
la relazione di P.Alex Zanotelli

Incontro tenuto  il giovedì 7 giugno 2012 presso l'aula Ferrari dell'ex Ateneo dell' Università del Salento.Arrigo Colombo e p. Alex Zanotelli.

La prima parola che Dio ci ha dato é il creato, é una parola fondamentale che solo adesso cominciamo a capire... La prima parola che dobbiamo recuperare é questo rapporto nuovo con la Terra.

Secondo é la parola la Bibbia letta con gli occhi dei poveri. ...

La nonviolenza attiva deve essere proclamata dogma dalla Chiesa!

......


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L’Italia è sempre più povera - “Chiesa di tutti, particolarmente dei poveri”

L’abbiamo scritto tante volte, nel corso di questi anni. L’Italia è sempre più povera. Ma stavolta i dati fanno davvero impressione. Siamo costretti a risparmiare sempre di più perfino sugli alimenti, come nel Dopoguerra. Ce lo dice l’Ufficio studi di Confcommercio, commentando i dati Istat delle vendite al dettaglio. 

Sono molto preoccupanti i dati di oggi, diffusi dalle agenzie e dai siti dei giornali più attenti alle famiglie (a cominciare dal sito di Famiglia Cristiana, sempre più spesso prezioso sensore dei malesseri delle famiglie italiane). I consumi pro-capite crollano del 3%, e quelli alimentari rischiano nel 2012 un -6 per cento. Certo, alle famiglie non servono i dati di Confcommercio. Ogni famiglia sa sulla propria pelle che oggi è sempre più difficile arrivare alla fine del mese. 
Ma perché non lo sa il Governo? Perché le misure già adottate e quelle previste nei prossimi giorni non fanno i conti con la grave e progressiva perdita di potere di acquisto delle famiglie? 


Le povertà sociali si estendono sempre più. E la Chiesa mette in campo migliaia di azioni e opere sempre più incisive. Oltre 420 mila persone impegnate a fare del bene

Tredici gruppi di studio, nel pomeriggio di ieri, hanno arricchito con proposte e testimonianze gli Stati Generali degli Amici dei poveri, convocati dalla Comunità di Sant’Egidio a Napoli sotto il titolo di “Chiesa di tutti, particolarmente dei poveri”. Marco Impagliazzo, Presidente della Comunità di Sant’Egidio, le ha riassunte nelle sue conclusioni.
Nel lavoro dei 13 gruppi di studio, sono state affrontati diversi aspetti della povertà, e sono state ascoltate molteplici testimonianze. Ma da questo confronto sono anche emerse alcune proposte concrete...

In Italia oltre 3 milioni di persone vivono in una condizione di povertà assoluta - ovvero non riescono ad accedere ai beni e servizi essenziali - e altri 8 milioni sono in una condizione di povertà relativa. E, forse anche per colpa della crisi, si registra un calo della tensione solidaristica. La società è più dura con tutti, soprattutto verso i più deboli. È lo spaccato che emerge dalla prima sessione dei lavori degli "Stati generali degli amici dei poveri", che si tiene - oggi e domani - a Napoli.
Un confronto a tutto campo sul tema "Chiesa di tutti e particolarmente dei poveri", a 50 anni dal Concilio Vaticano II, tra i rappresentanti di 160 movimenti e associazioni di volontariato che operano in Italia promosso dall’arcidiocesi di Napoli, dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Comunità "Giovanni XXIII". 
Leggi tutto: Sant'Egidio: undici milioni di poveri "La società troppo dura con i deboli"

Agli "Stati Generali" del volontariato cattolico colloquio con il cardinale arcivescovo di Napoli Crescenzio Sepe

Guarda il servizio del TG1: Gli amici dei poveri



mercoledì 27 giugno 2012

"La paura e la speranza: pensieri e percorsi per l'uomo d'oggi" di Mons. Bregantini

La paura e la speranza:
pensieri e percorsi per l'uomo d'oggi

di Mons. Giancarlo Maria Bregantini

Lectio Magistralis del vescovo di Campobasso-Bojano Mons. Bregantini, intervistato dal giornalista di Avvenire Paolo Lambruschi, tenuta a Vincenza il 24.05.2012 in occasione del Festival Biblico

Dio é più forte delle nostre paure.
 ...
Ai preti della mia Diocesi affido tre parole:
PROPORRE e non imporre,
CONVINCERE e non vincere,
ANALIZZARE e non giudicare.
...
La paura dell'immigrato.
Deve crescere nelle nostre comunità la capacità culturale di apprezzare e valorizzare le diversità anche di lingue e di colore,di non avere respingimenti non solo quelli fisici ma anche quelli spirituali, culturali e di avere questa capacità di intrecciare le varie realtà. ....
In fondo siamo come i colori dell'arcobaleno uno ha bisogno dell'altro.
Siamo interconnessi con l'altro.Insieme cresciamo ...
La paura la vinci veramente quando non solo sai dare ma soprattutto quando riesci ad accogliere. ...
... non basta l'accoglienza degli immigrati dobbiamo passare all'integrazione ...


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- LETTERE AL CARDINAL MARTINI - Il commiato ai lettori

LETTERE AL CARDINAL MARTINI 
Il commiato ai lettori

Desidero iniziare quest' ultima pagina della rubrica, affidatami ormai qualche anno fa, ringraziando tutti coloro che mi hanno scritto in questi anni. Ho ricevuto migliaia di lettere di affetto, di gratitudine, di stimolo, di critica. Chiedo perdono a quelli a cui non sono riuscito a rispondere e a quelli che pur avendo ricevuto un cenno di riscontro lo hanno ritenuto poco o per nulla esaustivo...
Ora viene il tempo in cui l' età e la malattia mi danno un chiaro segnale che è il momento di ritirarsi maggiormente dalle cose della terra per prepararsi al prossimo avvento del Regno. Assicuro della mia preghiera per tutte le domande rimaste inevase. Possa essere Gesù a rispondere ai quesiti più profondi del cuore di ciascuno...

Con l’umile eleganza che da sempre lo caratterizza il cardinale Carlo Maria Martini ha salutato, dalle colonne del Corriere della Sera, quanti lo hanno seguito e “interrogato” attraverso la rubrica di lettere tenuta per tre anni sul quotidiano di via Solferino. 


martedì 26 giugno 2012

UNA VITA DEDICATA AGLI ULTIMI – Don Lorenzo Milani e don Luigi Ciotti




UNA VITA DEDICATA AGLI ULTIMI – 
Don Lorenzo Milani e don Luigi Ciotti 
Uomini di fede impegnati nel sociale. 
Uomini importanti per la società.  

Interessante puntata di "Fratelli d’Italia" trasmessa su Raitre il 22.06.2012
Discutibile la breve presentazione iniziale di Aldo Cazzullo.

Guarda la puntata integrale:
Don Lorenzo Milani e don Luigi Ciotti

In caso di mancato funzionamento:

"IL MIO AMICO DON MILANI NON ERA COME DITE VOI!" di David Maria Turoldo - Un ribelle obbediente (2)

"IL MIO AMICO DON MILANI 
NON ERA COME DITE VOI!" 

di David Maria Turoldo
pubblicato  su 
"La Domenica del Corriere"
 7 luglio 1977


Scrive don Milani a Gianni Meucci in una lettera in data 12 dicembre 1956 "mi pare di averti già detto che don Bensì mi ha consigliato di non farmi presentare in nessun posto dal p. David e non per disistima di lui (tutt’altro), ma perché gli dispiace che io sia accompagnato al primo incontro da un nome sul quale ci son già prevenzioni e giudizi già dati. La cosa mi pare giusta e penso che la condividerai anche tu. Spero che tu sia sufficientemente convinto del bene che mi farete ecc.".

Così, non avendo potuto presentare mentre era in vita le prime fatiche di don Milani, le famose "Esperienze Pastorali", sono ora lietissimo di parlare di lui a dieci anni dalla sua morte. E lo faccio anche per un dovere, perché quando si sentono ritratti edulcorati come quelli che ho sentito in questi giorni a certi telegiornali, non si sa neanche se sia maggiore l'indignazione o l'avvilimento che ti fa reagire fino alla sofferenza. Proprio l'altro giorno mi sono detto: va che finirà male anche don Milani; finirà peggio di sant'Antonio! Infatti pochi sanno che sant'Antonio era uno dei santi più scatenati che sia mai esistito; molti lo paragonavano a un san Giovanni Battista con la scure in mano; e predicava in modo tale che fino a ora non sono ancora pubblicati in italiano i suoi "Sermones Domini"; e perché un tempo quando li volevo pubblicare io, mi sono sentito rispondere da quelli dell'Imprimatur, "che avrebbero potuto scandalizzare la gente". Capite? Le prediche di sant'Antonio che scandalizzano! Infatti è vero che non risparmia nessuno, neppure i vescovi (del suo tempo si capisce); dice che "a volte nelle vesti rosse dei monsignori e dei vescovi cola il sangue dei poveri"; dice che "a volte certi vescovi sono peggio dell'asina di Balaam: almeno questa si era accorta quando passava l'angelo del Signore invece i vescovi...". Così anche i santi devono essere purgati. E poi sant'Antonio era brutto, finito per idropisia; sformato ad appena trentasei anni di età, dopo essere passato sull'Italia per dieci anni come un uragano, come un temporale di Dio; ed era Antonio che san Francesco chiamava "mio Episcopo"... Guarda cosa ti hanno fatto di sant'Antonio: un santo per fidanzate, una specie di efebo che se la gioca con quel Gesù bambino sulle mani. Qui bisognerebbe certamente aprire un capitolo sulla patologia degli agiografi e sul destino dei santi. Ho già scritto un piccolo opuscolo dal titolo "Povero sant'Antonio"...

Avrà la stessa sorte anche don Milani? Già l'altra sera al telegiornale pareva quasi un santino da prima comunione: naturalmente "prete obbedientissimo". Così come tutti i famosi proscritti: obbedientissimo Manzoni, obbedientissimo Teilhard, obbedientissimo don Mazzolari; e ora obbedientissimo don Milani. Mai che si domandino costoro a chi e a che cosa obbedivano questi grandi uomini. E perché sono rimasti dentro la Chiesa: liberi e fedeli fino alla morte! Loro li chiamano obbedientissimi: magari dopo averli fatti sputare sangue. Così come è successo per don Mazzolari da parte di un vescovo che in vita lo additava come il "più grave pericolo per la Chiesa", e dieci anni dopo portava i seminaristi sulla sua tomba a Bozzolo scongiurando i giovani di essere "obbedienti" come don Mazzolari. Così ora anche per don Milani? Dopo neanche 10 anni dalla sua morte; quando dal cardinale Florit e da molti altri preti tuttora viventi era stato giudicato "un bubbone pestifero" da tagliare subito, e perciò era stato confinato da San Donato di Calenzano vicino a Prato a Barbiana nel Mugello: come dire l'isola di Pianosa per i più pericolosi criminali.

L'altra sera mi è toccato di sentire il panegirico di lui come di un esemplare del non-dissenso (a parte che poi non si sa chi più dissenta nella Chiesa; perché ve li raccomando questi lefebvriani!, questi "devoti del papa", a una condizione, che il papa la pensi come loro; diversamente, per esempio, anche papa Giovanni non va bene). E ho sentito dire come un elogio che è "rimasto sempre prete"... Sarebbe stata bella: che non fosse rimasto prete! Questa gente non capisce come uno che crede non può non rimanere fedele, succeda qualunque cosa. Uno può essere cacciato, ma non può andarsene! Contrariamente a quanto è scritto in un documento dei vescovi lombardi dove si dice ai cattolici inquieti e scontenti "di andarsene"... San Bernardo dice che "chi crede nel regno di Dio è sempre un inquieto". Nella Chiesa uno ci sta perché ci crede, perché c'è Gesù Cristo: perché c'è lo Spirito santo e i sacramenti e la liturgia. E i sacramenti e la liturgia e lo Spirito santo sono cose infinitamente più grandi di noi tutti, compresi i preti. Diversamente l'invito potrebbe essere valido anche per quelli che l’hanno scritto. E poi don Milani si era appena convertito, ed era appena entrato nella Chiesa, si era appena fatto prete. E quando uno si converte, non scherza.

Eravamo grandi amici
Così l’altra sera mi sono sentito un don Milani che non riconoscevo più. Non una parola circa le sue "Esperienze Pastorali" che sono una gettata di lava incandescente; e lui già che si rivela in quel libro come un cratere in eruzione nella chiesa di Firenze, un punto dove la "crosta terrestre" ha ceduto. Quanto era soffocato dal sistema, lì si è coagulato e ha fatto colpo. Ed è scoppiato un autentico terremoto; tanto che il Sant'Uffizio interviene con forza per ritirarlo dal commercio. Niente, non una parola sulla "Lettera ai giudici", sulla "Risposta ai cappellani militari", sulla difesa degli obiettori di coscienza, per le quali cose ha dovuto subire perfino un processo da parte del tribunale. Non una parola sulla sua amarezza per come si è votato il famoso 18 aprile: vittoria che egli chiama "la più amara sconfitta dei poveri". Non una parola sul suo confino, eccetera eccetera.

Certo che è un santo! Ma non è che i santi debbano essere delle mezze cartucce? Anzi, io che l'ho conosciuto, col quale ho passato i più infuocati incontri del mio sacerdozio, tenendogli appunto testa per via di quella giustizia al grado di furore di cui è stata divorata la sua vita più che dalla leucemia, dico che solo quando la Chiesa avrà il coraggio di riconoscere la santità di don Milani senza togliere neppure una parola (tanto meno le sue parolacce!) alla sua esperienza -tale e quale egli l'ha vissuta- allora dico che avremo una Chiesa veramente nuova; e una nuova santità muoverà il mondo. Sono perfino lieto della sua citazione dove dice: "Sto pensando di scrivere a p. David per il libro. Non sono punto convinto delle cose che urlavate domenica scorsa. Spero di poterle riurlare presto insieme...". (Barbiana, 1 luglio 1955.) Così eravamo amici, fino a urlare insieme là dove non eravamo d'accordo. Ma grandi amici: senza bisogno di ridurlo alla nostra misura! Senza dire poi che quando qualche volta mi è capitato di confessarlo, allora veramente ho sentito, per merito di lui, quanto grande e misterioso è questo sacramento della fraternità e del perdono. Cose troppo delicate per dirle in un qualsiasi articolo. Anzi, è questa una delle ragioni per cui io su don Milani ho preferito piuttosto tacere. E però questa volta, davanti a certe manipolazioni e storpiature, il silenzio poteva essere anche una colpa.                                                                                           (David Maria Turoldo)

Dopo 45 anni ancora "I CARE" - Don Lorenzo Milani un Ribelle ubbidiente (1)

26 giugno 1967 -26 giugno 2012 : 
QUARANTACINQUE ANNI FA MORIVA DON LORENZO MILANI

Dopo 45 anni ancora "I CARE" - 
Don Lorenzo Milani un Ribelle ubbidiente  (1)
 Il motto della scuola di Don Milani è "I care", ovvero mi riguarda, mi sta a cuore, 
mi prendo cura: il contrario esatto del mussoliniano me ne frego. 

"Educatore lungimirante, colto provocatore, ma soprattutto prete fedele al Vangelo. A distanza di 45 anni dalla scomparsa di don Lorenzo Milani, il messaggio del sacerdote fiorentino, che ha svolto il suo apostolato al servizio degli ultimi, è ancora forte e attuale.
Lorenzo nacque nel 1923 a Firenze in una famiglia benestante, dove di religione non si parlava quasi mai. Si accostò alla fede quasi adulto e, a 20 anni, entrò nel seminario fiorentino del Cestello, dove emerse una delle sue caratteristiche più note: la dialettica... Col suo fare magnetico e gli insegnamenti di grande attualità don Milani non ispirò solo gli allievi di Barbiana, molti dei quali, da grandi, finirono per occuparsi di politica e di cooperazione internazionale. La parola di don Lorenzo, infatti, attecchì anche in chi lo conosceva appena. ..."
Leggi tutto: Don Lorenzo Milani. Il maestro di Barbiana

"Fu esiliato a Barbiana perchè doveva tacere. Infatti ha taciuto per nove lunghi anni consacrando il suo sacerdozio a sei ragazzi di montagna. Parlò solo due anni prima di morire con la famosa Lettera ai cappellani militari e poi con la Lettera ai giudici. La stessa Lettera a una professoressa fu data alle stampe un mese prima della morte, lui l'ha vista solo stampata; non ha goduto tutto il chiasso che ha mosso.

Da morto il suo insegnamento è andato ben oltre Barbiana ed ha parlato lontano, molto lontano sia come tempo che come luogo. ..."

Leggi tutto: Fondazione don Lorenzo Milani

"Il 26 giugno del 1967 moriva don Lorenzo Milani. Se ne andava un profeta che ancora oggi continua a dare un opportuno fastidio alla Chiesa e alla scuola. Sono stato più volte nella sperduta Barbiana, nella sua canonica, sulla sua tomba. Ci dovrebbero andare tutti gli insegnanti. È rimasto un luogo sacro, dove per arrivarci devi abbandonare la macchina. Restano il silenzio e l’immaginazione a far compagnia. Il silenzio che serve a rileggere le parole di don Lorenzo Milani appese ai muri della canonica; l’immaginazione per ripensare quel prete seduto al tavolo di legno, con la cartina di geografia appesa all’albero e i suoi ragazzi figli dei boscaioli e dei contadini del Mugello, attorno. Nelle nostre classi dovremmo ripartire dall’appendere la Costituzione italiana proprio come faceva il prete perché i nostri ragazzi ritornino a conoscere l’ “abc” del nostro Paese: andare a scuola è saper leggere, scrivere, far di conto ma anche conoscere la nostra Carta Costituente. ..."

Leggi tutto:   Don Milani dà ancora fastidio dopo 45 anni

 

I VIDEO DEL PROGRAMMA RAI "LA STORIA SIAMO NOI" 

 Don Milani. Un ribelle ubbidiente

Rampollo di una ricca famiglia fiorentina di scienziati e cattedratici, nipote di un grande filologo, il giovane Lorenzo conosce bene il valore della cultura ed ha una passione: la pittura. E’ mentre sta affrescando una cappella sconsacrata che Lorenzo scopre la sua vocazione. Si converte così al cattolicesimo. Uscito dal seminario viene nominato cappellano nella parrocchia di S. Donato Calenzano, alle porte di Firenze; si trova ad operare in una realtà rurale arretratissima; i suoi parrocchiani sono braccianti, pastori e operai, perlopiù analfabeti. Don Milani si convince che il dovere della Chiesa sia occuparsi dell’istruzione dei suoi fedeli, soprattutto dei più deboli.

GUARDA: Dalla conversione alla scuola popolare

 Nel 1958 esce il primo libro di Don Milani, Esperienze pastorali.

Bisogna dare la terra a chi ha il coraggio di lavorarla, bisogna dare la case coloniche a chi ha il coraggio di abitarle, bisogna dare le bestiame a chi ha il coraggio di ripulirgli la stalla ogni giorno. I boschi appartengono a chi ha il coraggio di vivere in montagna. Bisogna recuperare tutte le ricchezze che per secoli sono partite dalla terra verso i salotti cittadini, bisogna buttarle ai piedi dei contadini e supplicarli di perdonarci. Ma anche per questo è già troppo tardi.

Sono parole aspre e provocatorie, che vengono lette non come un messaggio evangelico ma come un inaccettabile attacco all’ortodossia della Chiesa. Per il Vaticano il messaggio del cappellano va contrastato e il Sant'Uffizio ordina il ritiro dal commercio del libro dichiarato "inopportuno".

GUARDA: "Esperienze Pastorali" e i contrasti con la Chiesa

 La Chiesa manda Don Milani in una sorta di “confino” a Barbiana, una piccola località sui monti del Mugello. Nel paese non c'è la strada, la luce, l'acqua, eppure sarà proprio lì che Don Milani matura la sua esperienza più significativa: costruire dal nulla e nel nulla un nuovo modo di fare scuola.
Nel 1963 giunge a Barbiana una giovane professoressa, Adele Corradi, incuriosita dai metodi del parroco. Don Milani la invita a rimanere e ad insegnare nella sua scuola.

GUARDA: La scuola di Barbiana

Nel febbraio del 1965 La Nazione pubblica la lettera di un gruppo di cappellani militari in congedo che criticano aspramente la renitenza alla leva. La lettera di risposta di Don Milani viene pubblicata dalla rivista Rinascita; il priore afferma che l’obbedienza non è più una virtù e reclama il diritto all’obiezione di coscienza.
La IV sezione del Tribunale di Roma cita in giudizio per "apologia di reato" Lorenzo Milani insieme al vicedirettore responsabile di Rinascita, Luca Pavolini, con l’accusa di incitamento alla diserzione e alla disubbidienza militare.
 

 GUARDA: "Lettera ai cappellani militari"  e il provvedimento del tribunale di Roma

Nel 1967 esce l'ultimo libro di Don Milani: Lettera a una professoressa, scritto insieme ai ragazzi della scuola di Barbiana: "Se mandate i poveri via dalla scuola non è più una scuola; è un ospedale che cura i sani e manda via i malati, diventa uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile". Il libro è un atto d’accusa verso l’intero sistema scolastico vigente, che sembra ispirarsi ad un principio classista e non di solidarietà.
A soli 44 anni, il 26 giugno del 1967, Lorenzo Milani muore. Secondo le sue volontà, viene seppellito nel piccolo cimitero di Barbiana con i paramenti sacri e gli scarponi da montagna.

 GUARDA: "Lettera a una professoressa" e la morte di don Lorenzo Milani


lunedì 25 giugno 2012

Roberta De Monticelli: "La questione morale" e "La questione civile"

In un Paese in cui diventano eroi le persone normali, come il comandante De Falco e il calciatore Farina, semplicemente perché fanno il loro dovere di cittadini; in un Paese in cui lo stare sul confine con l’illegalità è accettato come sintomo di astuzia e addirittura politicamente tollerato come un evento ineluttabile, dove la corruzione dilaga all'insegna del “così fan tutti”, nessuno può esimersi dall’interrogarsi, meno di tutti chi si occupa di filosofia morale. Occorre scendere dalla torre d’avorio, vera o presunta, dell’accademia, per affrontare pubblicamente la questione morale e la questione civile. Probabilmente non per caso a due saggi divulgativi proprio su questi temi si è dedicata di recente Roberta De Monticelli, docente di Filosofia della persona all'università San Raffaele. 
Pochi mesi fa ha pubblicato La questione morale, ora La questione civile. Ha avvertito l’esigenza di riaffermare la funzione sociale della filosofia? 
Leggi tutto: De Monticelli: il dovere di parlare

Chi assegna il primato alla morale può stare sicuro oggi in Italia di ricevere l' antipatica etichetta di «moralista», sinonimo nel linguaggio comune di persona noiosa e pedante, incapace di fare i conti con la vita concreta. Contro questo cinismo che conosce solo la logica del potere, De Monticelli scrive pagine di vera passione intellettuale attaccando il potere politico («l' interesse affaristico che si fa partito e prostituisce il nome di libertà»), mediatico («facce patibolari»), ecclesiastico («nichilismo morale»), intellettuale («disprezzo ardente per tutto ciò cheè comune»).
Leggi tutto: LA CENTRALITÀ DELLA QUESTIONE MORALE di Vito Mancuso

Leggi anche la recensione di Marcello Veneziani al libro "La questione morale" di Roberta De Monticelli: "Se chi vota centrodestra è trattato da criminale" e la replica di Roberta De Monticelli "L’equivoco dei nostri giorni"

Si può dissentire radicalmente sulle premesse e consentire pienamente sulle conclusioni? È la domanda che ci si pone al termine della lettura dell'ultimo, profondo, appassionato, angosciato ma non rassegnato libro di Roberta De Monticelli, La questione civile - Sul buon uso dell'indignazione (Raffaello Cortina Editore). 
Il tema è la giustizia, massima virtù sociale; lo scopo è il risveglio alla giustizia attraverso "esercizi di disgusto". L'impianto è filosofico. Il discorso si svolge da Platone e Aristotele, indugia su quello che sembra il preferito, Immanuel Kant, per arrivare a Simone Weil e a Bobbio. Ma, la riflessione spazia: antropologia, psicologia, teologia, giurisprudenza, letteratura. Tutto può essere messo a frutto e fatto reagire, al di sopra delle divisioni disciplinari. 


"Il Concilio dei poveri" di mons. Luigi Bettazzi

Il Concilio dei poveri

La Chiesa dei poveri: il Concilio Vaticano II e l’attenzione agli ultimi della storia.
di Luigi Bettazzi
*Vescovo emerito di Ivrea e presidente del Centro Studi Economico-Sociali per la Pace

Uno degli argomenti che venivano sollecitati da tutti i vescovi partecipanti al Concilio Vaticano II (i “Padri conciliari”) era quello de “la Chiesa dei poveri”. Non era un tema proposto ufficialmente, anche se papa Giovani XXIII aveva in antecedenza puntualizzato che “il mistero di Cristo nella Chiesa è sempre, ma soprattutto oggi, il mistero del Cristo nei poveri, poiché la Chiesa è sì Chiesa di tutti, ma soprattutto Chiesa dei poveri”. 
È vero che, nella storia, la Chiesa è sempre stata “per i poveri”, quasi che i poveri fossero i beneficiari esterni di una Chiesa che non è loro. E, invece, si indicava ora che i poveri devono sentirsi non “oggetto” della carità della Chiesa, ma “soggetto” della Chiesa stessa, parte attiva nella costituzione della mentalità e dell’operatività. E questo anche sul piano ecclesiale, dato che l’organizzazione della Chiesa universale, sia sul piano dell’elaborazione delle dottrine come sul piano delle strutture operative, appariva tutta in mano all’Europa, con l’annessione del Nord America, riducendo gli altri territori – il cosiddetto Terzo Mondo – a beneficiari della Chiesa del Primo Mondo. 

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domenica 24 giugno 2012

DISCORSO DI SANT'AGOSTINO SUL GIORNO DELLA NASCITA DI SAN GIOVANNI BATTISTA E SULLA VOCE E IL VERBO

La nascita del Precursore, icona russa
DISCORSO DI SANT'AGOSTINO
SUL GIORNO DELLA NASCITA DI SAN GIOVANNI BATTISTA
E SULLA VOCE E IL VERBO

... Di chi potremo parlare oggi se non di colui del quale oggi celebriamo la nascita? Sì, parleremo di san Giovanni, nato da madre sterile e precursore del Signore, nato da madre vergine; parleremo di colui che, stando nel grembo materno, salutò il suo Signore e, venuto alla luce, fu il suo araldo. La sterile non era in grado di partorire, la Vergine non era in una condizione in cui potesse partorire; eppure l'una e l'altra partorirono: la sterile partorì il banditore, la Vergine il giudice. Anzi nostro Signore prima di venire in mezzo agli uomini nascendo dalla Vergine aveva già inviato davanti a sé molti di questi araldi. Da lui erano stati inviati tutti i profeti che vennero prima di lui e nei quali egli stesso parlava. Venne dopo di loro ma esisteva prima di loro. Se dunque il Signore inviò tanti annunziatori prima di venire lui stesso, qual è il merito eccezionale, dove la sovraeminente dignità di colui la cui nascita oggi festeggiamo? Dev'essere senz'altro segno di una qualche grandezza il fatto che non passi inosservato il giorno della sua nascita, come non passa inosservato il natale del suo Signore. Degli altri profeti non sappiamo quando siano nati; ma non ci era permesso ignorare la nascita di Giovanni. A lui poi fu concesso un altro grande privilegio. Gli altri profeti preannunziarono il Signore e desiderarono vederlo, ma non lo videro o, se lo videro in spirito, lo videro lontano: non fu loro consentito di vederlo presente...
Gli altri profeti dunque non lo videro qui in terra; Simeone lo vide bambino; Giovanni lo riconobbe e salutò dopo il concepimento, lo vide e lo predicò quando era ormai grande. Egli dunque fu privilegiato più di tutti gli altri profeti.
... Ecco cosa dice lo stesso Signore: Tra i nati da donna non è sorto nessuno più grande di Giovanni Battista. E per mettere se stesso al di sopra di lui continua: Ma colui che è minore, è maggiore di lui nel regno dei Cieli. Di se stesso afferma che è minore e maggiore: minore per l'età, maggiore per il potere. Il Signore infatti è nato dopo di lui nella carne, quando è nato da una vergine; prima di lui però in principio era il Verbo. Fatto straordinario: Giovanni, secondo solo a Cristo, per mezzo del quale tutto è stato fatto e senza del quale nulla è stato fatto. Per quale motivo venne dunque Giovanni? Per mostrare la via dell'umiltà e cosi ridimensionare la presunzione dell'uomo ed accrescere la gloria di Dio. Venne dunque Giovanni: un grande che presentava un altro più grande; venne Giovanni, un personaggio a misura d'uomo. Che vuol dire " a misura d'uomo "? Che nessun uomo poteva essere più di Giovanni; tutto ciò che fosse stato più di Giovanni, sarebbe stato fuori dell'umano. Se dunque in Giovanni si trovava il limite della grandezza umana, non si poteva trovare un uomo più grande di Giovanni. Eppure uno più grande c'è stato: riconosci Dio in quest'uomo che hai scoperto essere più grande dell'uomo più grande. Uomo Giovanni, uomo Cristo; ma Giovanni solo uomo, Cristo Dio e uomo. Come Dio egli ha creato Giovanni, come uomo è nato dopo Giovanni...



Natività di S. Giovanni il Battista anno B commento di Enzo Bianchi

Giovanni Pisano: Zaccaria scrive il nome di Giovanni  

Lc 1,57-66.80

Ricorre oggi la festa della Natività di san Giovanni il Battista, celebrata dalla chiesa indivisa a partire da data antichissima. Accanto a Maria, la Madre del Signore, Giovanni il Battista è il solo santo di cui la chiesa celebri non solo il giorno della morte, cioè il giorno della nascita alla vita eterna, ma anche il giorno della sua nascita in questo mondo: d’altronde, Giovanni è l’unico testimone di cui il Nuovo Testamento ricordi la nascita, intrecciandola strettamente a quella di Gesù (cf. Lc 1)…

Giovanni è la lampada preparata per il Messia (cf. Sal 132,17; Gv 5,35); è il maestro di Gesù, che lo segue come discepolo eppure «gli è passato avanti perché era prima di lui» (cf. Gv 1,15.30), «più forte di lui» (cf. Lc 3,16); è l’amico di Gesù, Sposo veniente (cf. Gv 3,29)… Potremmo affermare che il vangelo è la storia simultanea di profezia e compimento: Giovanni e Gesù, con la loro profondissima singolarità e la loro specifica chiamata, sono abitati da una sostanziale unanimità nel perseguire i disegni di Dio, dalla stessa risolutezza a servizio del Regno. Purtroppo oggi la figura del Battista non ha più il posto che merita nella memoria della chiesa e che di fatto ha avuto dalle origini cristiane fino a metà dello scorso millennio. Eppure se la chiesa celebra ancora come festa la nascita del Battista è perché resta cosciente della centralità rivelativa di questa figura: nei vangeli la buona notizia dell’annuncio del Regno si apre sempre con Giovanni; in particolare, il vangelo dell’infanzia secondo Luca inizia con l’annuncio dell’angelo a Zaccaria e il racconto della nascita prodigiosa di Giovanni, che oggi ascoltiamo.



Natività di San Giovanni Battista di Gianfranco Ravasi








Natività di San Giovanni Battista 
del Card. Gianfranco Ravasi

"All'ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: No, si chiamerà Giovanni. Le dissero: Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome. Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta, e scrisse: Giovanni è il suo nome. Tutti furono meràvigliati. In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Coloro che le udivano, le serbavano in cuor loro: Che sarà mai questo bambino? si dicevano. Davvero la mano del Signore stava con lui" (Lc 1).

Dal silenzio di Zaccaria nasce l'ultima parola profetica dell'Antica Alleanza, dalla sterilità di Elisabetta nasce l'annunciatore della vita perfetta offerta da Dio al suo popolo. Nei Vangeli la figura del Battista e il suo messaggio sono tratteggiati con gli stessi lineamenti di quelli del Cristo proprio secondo il principio giudaico per cui "l'inviato è come l'inviante".
Non per nulla la liturgia odierna applica al Battista il secondo carme del Servo del Signore (Is 49) che la tradizione cristiana ha usato sempre in chiave messianica e Cristologica. Il Battista è il "servo" di Dio e quindi del suo Messia.
Come ricorda Paolo nel suo discorso ad Antiochia di Pisidia, il Battista proclama: "Io non sono ciò che voi pensate che io sia! Ecco, viene dopo di me uno, al quale io non sono degno di sciogliere i sandali". Eppure la sua azione si apre con un battesimo a cui il Cristo stesso si sottomette, la sua predicazione ha come nucleo centrale la stessa proclamazione del Cristo: "Il regno di Dio è vicino". Il suo destino è lo stesso di quello del Cristo, il martirio sotto il giogo del potere crudele.
C'è, quindi, una rappresentazione Cristologica della figura del Battista la cui esistenza è tutta polarizzata sul Cristo. È la stessa impostazione che guida il "Vangelo dell'infanzia del Battista" di cui oggi leggiamo un brano. Esso è costruito da Luca in dittico con quello del Cristo stesso secondo lo schema "annunciazione - nascita - inni - crescita". Ed è proprio su questo brano che ora fissiamo la nostra attenzione.
Al centro c'è la nascita del bambino che è totalmente dono di Dio, essendo nato da una madre sterile (secondo il modulo tipico delle "nascite di un eroe", molto noto nell'Antico Testamento). Dio entra nella storia con una parola viva che si fa carne in attesa della piena incarnazione del Figlio. La novità assoluta di questo dono e di questa parola è documentata anche dal nome Giovanni inedito nella genealogia del Battista. Esso, infatti, indica in modo luminoso la missione e la realtà del Precursore, esprime la "grazia" benefica con cui Dio avvolge e trasforma il suo eletto, che in tal modo diventa "grazioso" agli occhi di Dio e degli uomini.
Di fronte a questa rivelazione divina nel bambino Giovanni e nel padre che ritorna a essere "uomo della parola", la comunità reagisce col "timore" che è l'atto di fede, di adorazione e di lode.
La comunità diventa missionaria e l'annunzio dell'evento rivelatore di Dio si propaga per tutta la Giudea. Ed è a questo punto che l'evangelista sottolinea il parallelo del Battista col Cristo. La frase finale: "La mano del Signore stava con lui" e la successiva aggiunta sulla crescita mirabile del bambino evocano le stesse qualità che si ripeteranno in pienezza per il Cristo. Il Signore opera nel Battista con la sua mano efficace e liberatrice.
Attraverso questo ritratto del Precursore si configura la fisionomia non solo di chi ha preceduto il Cristo preannunziandolo ma anche quella di chi lo seguirà annunziandone la morte e la risurrezione.
Il Battista è consacrato al suo Signore come lo sarà il vero discepolo che seguirà il suo Maestro nella fede e nell'amore. Una sequela totale che abbraccia tutto l'arco dell'esistenza dalla nascita alla morte, proprio come il Battista chiamato dal grembo della madre e votato alla giustizia del regno di Dio sino al suo martirio. "Su di te, Signore, mi appoggiai fin dal grembo materno, dal seno di mia madre tu sei il mio sostegno... Ed ora nella vecchiaia e nella canizie io annunzio la tua potenza, a tutte le generazioni le tue meraviglie" (Sal 71,6.18)

"Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si rallegravano con lei.
All'ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: No, si chiamerà Giovanni. Le dissero: Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome.
Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta, e scrisse: Giovanni è il suo nome. Tutti furono meravigliati. In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio" (Lc 1, 57-64).

La Solennità della nascita del Battista ci permette di tracciare i lineamenti essenziali di questa figura il cui nome è portato da tanti uomini e donne. Un nome, d'altra parte, dal significato suggestivo: si connette, infatti, ad un verbo ebraico che è alla base del sostantivo "grazia" (hnn). Il re davanti al suddito amato prova tenerezza e lo colma di "grazia" per cui il suddito diventa "grazioso", trasfigurato, glorificato. Questo senso del nome "Giovanni" è naturalmente da intendere in modo religioso: per usare un'espressione applicata da Luca a Maria, "Giovanni" è "pieno di grazia", avvolto dall'amore di Dio fin dalle sue origini, naturalmente in grado e forma diversi rispetto a quelli della Madre del Signore.
Dal Battista - chiamato dalla tradizione cristiana "Precursore" cioè "colui che corre innanzi", l'araldo del Messia sulla base della profezia di Isaia (40, 3-5) citata dagli stessi evangelisti - ci parlano i quattro Vangeli, gli Atti degli Apostoli e lo storico giudaico Giuseppe Flavio, contemporaneo di Paolo. Quest'ultimo nella sua opera Antichità Giudaiche ci presenta Giovanni come un maestro nobilissimo di pietà e di virtù, battezzatore ma solo in senso rituale, incarcerato e decapitato dal re Erode Antipa nel forte di Macheronte sul mar Morto per timore che attorno alla sua figura si coagulasse il malcontento popolare contro il regime erodiano. Alcuni studiosi hanno sottolineato anche i punti di contatto della predicazione e del battesimo di Giovanni con la vita e le credenze della comunità "monastica" giudaica di Qumran, sulla sponda occidentale del mar Morto, nota per le sensazionali scoperte dei testi della sua "biblioteca" a partire dal 1947. Tuttavia le distanze del Battista da questo ambito sono superiori agli elementi paralleli.
Egli, infatti, si erge soprattutto come colui che proclama una svolta radicale, una conversione dell'esistenza e non una semplice purità rituale e sacrale. Egli è poi colui che annunzia non solo dei generici "ultimi tempi" o un'era messianica ma una precisa figura di Messia, Gesù di Nazaret. Costui è "il più forte" nei cui confronti egli non si sente degno neppure di essere il semplice schiavo, colui che scioglie al suo signore i legacci dei sandali (Mt 3, 11). Sappiamo anche che attorno al Battista si era costituita una comunità di discepoli dei quali alcuni si metteranno con gioia alla sequela di Gesù mentre altri si arroccheranno attorno a Giovanni anche dopo la sua morte in una specie di "comunità battista" autonoma di stampo rigorista. Infatti nei Vangeli leggiamo frasi di questo genere: "Perché i discepoli di Giovanni digiunano?... Signore, insegnaci a pregare come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli" (Mc 2, 18; Lc 11, 1).
Ma la fisionomia spirituale del Battista è legata ad alcuni tratti fondamentali. Innanzitutto la sua nascita gloriosa, narrata da Luca in una pagina molto intensa di cui la liturgia odierna ci offre il brano centrale. Egli è per eccellenza dono di Dio, dato che nasce dalla vecchiaia ormai sterile di Elisabetta e dall'incredulità "muta" di Zaccaria. Egli è il profeta definitivo: "Tu, bambino, sarai chiamato profeta dell'Altissimo... Giovanni un profeta? Sì, vi dico, e più che un profeta" (Lc 1, 76; 7, 26). Egli è ricolmo dello Spirito di Dio fin dal grembo materno perché la sua missione sarà totalmente consacrata a Dio e al suo Cristo. Il secondo lineamento del suo ritratto è nella sua voce, tempestosa come quella dei profeti antichi, e nella testimonianza che non conosce esitazioni. Come dirà Gesù, Giovanni non è una canna che si piega al vento, è una quercia che può essere solo spezzata. Ecco, allora, il terzo tratto legato ad un atto preciso, quello del battesimo di Gesù. La voce del Battista e la sua mano puntano diritte su quell'uomo che è nella folla degli ascoltatori: "Ecco l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo!" (Gv 1, 29). E il battesimo che egli compie su Gesù si trasforma in una grandiosa epifania divina. Canterà l'evangelista suo omonimo: "Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce. Non era lui la luce..." (Gv 1,7-8).
L'ultimo tratto del Battista è nella donazione totale, nello stile dei grandi profeti. I Vangeli, infatti, ci riferiscono la passione e la morte di Giovanni in un racconto ampio e carico di venerazione. La sua era stata la storia di un uomo straordinario che aveva avuto la coscienza della grandezza della sua vocazione ma anche del limite della sua missione.
Bellissimo a questo proposito è l'autoritratto che egli abbozza sulla base di un uso giudaico, quello dell'"amico dello sposo", cioè del mediatore ufficiale tra lo sposo e la sposa prima delle nozze: "Non sono io il Cristo. Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l'amico dello sposo esulta di gioia alla voce dello sposo... Bisogna che lui cresca e che io diminuisca" (Gv 3,28-30).